Sabato 9 dicembre 2017, è una giornata di sole e l’aria è battuta da un venticello che se fosse meno freddo parrebbe quasi primaverile.
Betty mi riceve a casa sua, con lei c’è la madre ottantenne.
La mamma Raffaela (“mi raccomando, con una l sola”) in qualche occasione si inserisce nella conversazione raccontando dei tempi lontani; è nata a Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina ed è salita al nord con i genitori all’età di dodici anni; a Milano ha conosciuto il marito, di provenienza del centro Italia, con cui ha messo su famiglia e ha dato alla luce due figli; all’inizio degli anni ’60 abitavano in via Savona sopra il cinema Mexico (“quanti film ci siamo visti in quegli anni! con cento lire vedevi due film…”) in un monolocale con due figli piccoli, poi si sono trasferiti al Gallaratese (“appena ho visto la casa, con tutto quello spazio e l’acqua corrente, ci siamo trasferiti subito, anche se non avevano ancora collegato l’elettricità… peccato solo per il cinema, che qui non ce n’è”).

Betty, parlami del tuo quartiere. C’è un luogo significativo, a cui ti senti più legata?
Direi la montagnetta, il Monte Stella, anche se è appena fuori dal quartiere. È  sempre stato un punto  che mi è caro. È il punto più alto di Milano, quando ero piccola si andava a sciare, ci sparavano la neve, si facevano le gare di sci; noi piccoli andavamo con il sacco della pattumiera sotto al sedere a seguire le piste degli sciatori che erano passati prima di noi.
Da lì hai una vista su tutta Milano, si vede il duomo, san siro, è il punto più alto, il punto semi-naturale più alto di Milano.

Quale metafora useresti per descrivere il tuo quartiere?
Per me il Gallaratese era una coperta, la coperta di Linus, mi sentivo avvolta dal quartiere, ci stavo bene, si usciva volentieri, non si aveva paura, ti conoscevano tutti; ti sentivi sempre protetta in un modo o nell’altro.
Ora … adesso la coperta è un po’ più leggerina, si sono fatti un po’ di buchi in questa coperta, abitanti nuovi…
Non c’è più quella unione di una volta, dove erano tutte persone semi-povere, erano tutti operai, molti emigrati dal sud, c’era quella unione in cui io ho bisogno, tu hai bisogno, ci aiutiamo e quello che ti manca te lo do io.

Quindi, come ti senti nel tuo quartiere?
Un pochettino più estranea di una volta. Poi, ci ho sempre vissuto e comunque lo sento ancora mio, è spazio mio, però con la differenza che ci sono tante cose nuove, un po’ più fredde, un po’ meno sentite. Magari c’è anche la stanchezza dell’età mia.

Cosa sogni?
Per quanto riguarda il quartiere credo che i sogni si siano abbastanza realizzati nel senso che questo quartiere è cresciuto e si è sviluppato, per cui lo vivo con piacere.
Poi ci sono altri sogni … vabbè, per l’umanità, che ci si rispetti l’un l’altro, perché ci sono delle vie nel quartiere tipo via Bolla dove andrebbe buttata giù totalmente tutta la via, delle realtà che sono degradate ma non tanto per noi, che tanto se non ci vado non le vedo neanche, quanto per il vivere insieme. Appunto, via Bolla crea questa “bolla” di negatività che emana radiazioni un po’ in tutto il quartiere.

Dimmi una cosa brutta e una cosa bella?
Guarda, ti direi lo sviluppo, sia nel lato negativo sia nel lato positivo. Perché lo sviluppo è positivo, migliora alcuni aspetti della vita, ci sono più servizi e comodità. Ma allo stesso tempo degrada la vita perché ti impedisce di avere rapporti umani con gli altri, ormai è tutto telefono, tutto lontano.
Lo sviluppo avvicina il lontano,  ma allontana il vicino …

Un odore?
Ah, l’odore di oggi, c’è un odore nell’aria che sa di primavera ma che ho già sentito altre volte in certe giornate d’inverno. Mi ricorda insieme la primavera nel quartiere e altri inverni del passato, un primo di gennaio di molti anni fa con un vento caldo, con questi profumi …

Un colore?
Giallo ma non saprei dire perché, forse perché mi da un senso di calore. Ma è un quartiere verde. Però il suo colore è giallo.

Un sapore?
La focaccia del panettiere, quella che non c’è più … non c’è più la focaccia con quel sapore. Vedi, torniamo indietro alla coperta. Se devo pensare a cose piacevoli devo tornare al passato.

La natura che vedi nel tuo quartiere?
A parte i corvi e le cornacchie, la natura del quartiere è di carattere vegetale, molte piante, molto verde, anche abbastanza rispettato. È il nostro polmone, devo dire che in quartiere sto bene. Abbiamo pensato delle volte di cambiare casa, sai siamo al quarto piano senza ascensore, ma altre zone di Milano con questo verde, questa aria da respirare, questi odori, non ne abbiamo trovati; in giro per Milano c’è più grigio, soprattutto nella periferia.

Cosa vedi dalla tua finestra?
Da qui purtroppo vedo l’ammasso grigio del centro commerciale (Bonola, il primo centro commerciale di Milano e forse d’Italia), l’hanno costruito venticinque o trenta anni fa; dall’esterno è un ammasso grigio,  magari dentro piacerà ma dall’esterno è un brutto cubo grigio. Prima c’erano i prati e la chiesa, fino a trenta anni fa. Tra cento anni? rimarrà così, credo, dove ci sono ancora i prati sotto ci passa la metropolitana e in teoria non si potrebbe costruire… speriamo, mi auguro che non costruiscano più altro.

Che domanda faresti, cosa ti manca, cosa chiederesti?
Io sto bene, non ho bisogno di chiedere nulla, non sento la necessità … magari solo l’ascensore in questa casa, arrivare al quarto piano con la spesa e l’acqua minerale…
E poi, poter vivere alla giornata rispettando ciò che è accanto a te; se vivessimo tutti con questa filosofia non avremmo paura degli altri né paura di uscire. Le mie paure sono per mia mamma che ha 80 anni, la vedo dal di fuori come una bambina, ingenua, in un mondo in cui tutti cercano di approfittarsi il più possibile delle persone indifese; questo vorrei cambiare, non c’entra con il quartiere o con Milano, ma con l’umanità in generale.
Risolto quel problema si starebbe bene ovunque …

Concludiamo la nostra breve intervista.  Nel racconto di Betty ho toccato con mano una certa malinconia, un po’ di nostalgia per il senso di comunità che legava le persone tra di loro e teneva insieme il quartiere negli anni lontani della sua formazione, un tessuto che ora si fatica a ritrovare, pur in un generale miglioramento delle condizioni della zona. 

Betty mi fa vedere la casa, le sue collezioni. Mi parla di un signore di cento anni che passa le sue giornate a Bonola e che avrebbe certamente tante storie da raccontare …

Ci lasciamo con la promessa di risentirci e di provare a ritessere un racconto più ampio, magari allargato ad altre persone. Chissà che anche questi non possano diventare fili di un nuovo tessuto.

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