Incontro Mattia in una fredda mattinata di gennaio, ci vediamo all’interno del Centro Diurno dove passa alcune delle sue giornate.

Lo trovo accovacciato alla sua scrivania, un uomo all’alba degli 80 anni con barba lunga e occhietto vispo. Mi accoglie nella sua tana, un angolo costituito da innumerevoli oggetti; matite, pennelli, disegni, scarabocchi. Una parentesi di colore nel grigiore milanese. 

Ci presentiamo e fin da subito Mattia è un fiume in piena, con una gran voglia di raccontare e raccontarsi. 

Narratore: Mattia 

Biografa: Giulia 

Costa niente far felice una persona

Il primo tema che Mattia mi porta sono gli incontri importanti che ha fatto nell’arco della sua vita.

Le persone che più gli sono rimaste impresse nella memoria sono le donne che, come dice lui stesso, “penetrano la vita”, nei confronti delle quali nutre un profondo rispetto e una grande ammirazione. 

Gran parte della propria esistenza l’ha dedicata difatti ad accudire donne anziane in difficoltà che venivano abbandonate dai propri mariti all’Istituto Palazzolo di Milano perché non più in grado di badare a sé stesse. 

Mattia ricorda questi incontri con il sorriso: “C’era Ada, signora ultranovantenne immobilizzata su una carrozzina, che non connetteva più con la testa e mi diceva di portarla a Sassuolo, prender il treno popolare per visitare il suo quartierino minuscolo e civettuolo. Mi diceva che dovevo portarla a ballare, io le davo retta e con la fantasia danzavamo insieme…. Poi c’era Antonia, moglie di un mio amico che l’aveva abbandonata, era fuori di testa, bisognava accudirla. Io ero lì per questo”. 

Mattia aiutava queste persone nelle loro attività quotidiane, dal lavarsi al mangiare. 

La cosa più importante che però faceva era ascoltarle. Ascoltava per ore i loro racconti, regalando momenti di evasione, sogno e svago. A sua volta raccontava loro storie, vere o inventate che fossero, lo faceva per donar loro attimi di spensieratezza. 

D’altronde come dice lui stesso “costa niente far felice una persona”. 

La giovinezza tra i bombardamenti della guerra 

Lui che la sua vita se l’era sudata, l’infanzia l’aveva vissuta nel pieno della guerra e dei bombardamenti. 

Mattia era figlio di milanesi da generazioni, anche se lui era di origine friulana, nato a Spilinbergo in provincia di Pordenone, frutto dell’amore tra Rina e Ferruccio. 

Figlio unico, ma proveniente da una famiglia assai numerosa, era il più piccolo di tutti.  

Il padre Ferruccio aveva 13 fratelli e la madre Rina 16. Mattia quindi aveva innumerevoli cugini, tutti più grandi, lui era il piccolo della famiglia. I genitori si erano sposati all’età di 22 anni-23 anni, nel 1922 quando era appena salito al potere il fascismo in Italia. 

Il padre, all’epoca addetto ai macchinari di una filanda, poco prima della sua nascita si era trasferito per lavoro in Friuli portando con sé la moglie.  Si spiegano così le origini friulane di Mattia, anche se nelle sue vene e nel suo cuore scorre sangue milanese, come lui stesso ci tiene a precisare. 

Con il padre non aveva un gran rapporto; era una persona fredda, molto chiuso di carattere. La madre era più aperta, ma come dice Mattia, erano altri tempi e i rapporti con le figure genitoriali erano assai diversi rispetto oggi. I nonni non li conobbe mai, eccetto il nonno materno che però morì quando era molto piccolo. 

Mattia nacque tra i bombardamenti della seconda guerra mondiale. 

Sono diversi i ricordi della guerra che affiorano e portano con sé ancora tanto dolore. 

“La prima elementare l’ho fatta in una cantina, i tedeschi avevano occupato le scuole”. “Andavamo in piazza a vedere i partigiani impiccati… mi ricordo una volta che eravamo a casa, stavano arrivando gli alleati, ma non sapevamo dove nasconderci perché i tedeschi bruciavano tutto. Ero insieme a tutta la mia famiglia nascosto in cantina, poi sentì dei colpi, uno più forte degli altri e un frastuono di vetri rotti. Erano le cannonate dei tedeschi”. 

L’arte è il bello che dura per sempre

Era un bambino solitario Mattia, già allora amava scarabocchiare, disegnare, colorare.

Scappava dai bombardamenti, dal grigiore della guerra, rifugiandosi nel suo mondo fatto di righe e colori. Iniziò a disegnare molto presto, chiedeva in prestito a chi incontrava cartoline raffiguranti stralci di mondo, le copiava per diletto e così viaggiava con la fantasia. 

Racconta che una volta gli regalarono un libro di dame del ‘700 e lui iniziò a disegnarne i costumi. Un prete vide i suoi schizzi e lo rimproverò molto accusandolo di fare dei costumi scandalosi perché troppo scollati. Lui all’epoca era solo un ragazzo, rise molto di questa storia allora ed anche oggi la ricorda con il sorriso.

Crescendo continuò a coltivare la sua passione per il disegno, frequentò in Friuli le scuole elementari, le medie e poi si iscrisse ad una scuola d’arte a Udine. Non si trovò però molto bene, erano molto rigidi, lui invece che non ha mai amato stare dentro le righe, preferiva viaggiare con la fantasia, andando oltre regole e confini. 

I genitori non lo hanno mai appoggiato nelle sue scelte di vita, proveniva da una famiglia povera, “i miei non capivano che il mondo cambiava”. Lui invece l’onda del cambiamento la cavalcava, amava l’arte, la musica, il cinema, la letteratura. 

Mattia ha una cultura sconfinata, la passione per l’arte che lo ha accompagnato per tutta la vita traspare anche oggi; quando si entra in argomento gli occhi e il volto si illuminano.  

“L’arte è l’espressione più bella che può creare un uomo. E’ il bello che dura per sempre.”

Io sono un animo libero: l’approdo a Milano

Inseguendo i suoi sogni, nel 1960, all’età di 22 anni, si allontanò dal Friuli e si trasferì a Milano. 

Lì iniziò a lavorare nel campo dell’arte. Il suo grande sogno sarebbe stato quello di diventare stilista, disegnava modelli e li presentava alle principali sartorie dell’epoca. Purtroppo non ebbe il successo sperato; “Entrai dal buco della serratura della porta di servizio, ma la risposta era sempre la stessa: i modelli sono belli ma non mi interessano.

Fu una grande delusione, ma Mattia non smise mai di disegnare e tutt’oggi non ha perso la voglia di creare. 

Quando si trasferì a Milano iniziò a lavorare come mosaicista presso diverse ditte. Partecipò al restauro di San Marco a Venezia ad esempio. 

Era un lavoro che alla lunga non lo entusiasmava, proprio per la sua monotonia e ripetitività, a lui piaceva creatività e movimento, ma era il lavoro che gli consentiva di sopravvivere. 

Quando arrivò a Milano Mattia rimase dapprima a dormire in una pensione, poi col tempo riuscì a permettersi un appartamento in affitto vicino Piazza Firenze. Le cose inizialmente andarono bene, lavorava, aveva diversi amici, andava spesso a ballare. “Io amavo ballare. Andavamo spesso nelle sale da ballo e nelle balere. Mi divertivo come un pazzo”. Quel periodo di vita viene ricordato piacevolmente. 

Mattia non si sposò mai, non amava i legami, la scelta di stare da solo è sempre stata una decisione consapevole. Ebbe due grandi amori, Federica e Fausta. Entrambe si sposarono però poi con altri uomini. 

“Io sono sempre stato per conto mio. … Sono sempre stato solo. Solo e libero. Mi sono sempre goduto la mia libertà, nel bene e nel male. Ho sempre passato la mia vita per conto mio e va bene cosi. I legami mi stancano, mi annoiano. Per me libertà è essere indipendente, libero di fare ciò che si vuole quando si vuole. Io sono un animo libero”.

Trovarsi soli

Le cose andarono abbastanza bene fino a quando 20 anni fa, all’alba dei 60 anni, improvvisamente Mattia si trovò in estrema difficoltà.  Le ditte di mosaici per le quali lavorava chiusero e così perse il lavoro.  Non riuscì a reinventarsi in altro modo, a trovare un’altra occupazione e dovette in breve tempo lasciare la casa dove abitava. 

Si ritrovò in strada senza una lira.  

Fu un momento molto difficile per Mattia che tutt’oggi ricorda con profonda tristezza e di cui fatica a parlare. 

Proprio in quel momento di difficoltà, tutti gli amici gli voltarono le spalle, lui si sentì solo e abbandonato. Si vergognavano di lui, lo guardavano con disprezzo per la condizione di povertà in cui era venuto a trovarsi, nessuno gli tese la mano. Fu da quel momento che perse fiducia nell’amicizia. “Amicizia è star vicino nel momento del bisogno. Io nell’amicizia non ci credo più, le grandi amicizie mi hanno tradito, mi hanno abbandonato”.

Il rapporto con la città e il suo quartiere

In viale Ortles, presso la casa di accoglienza Enzo Jannacci, Mattia vive ormai da 20 anni. 

Durante il giorno frequenta il centro diurno della struttura, poi nel tardo pomeriggio e durante la serata si reca in giro, ama camminare per le strade di Via Don bosco, Corso Lodi, Piazzale Corvetto, prima di rientrare nella sua stanza del dormitorio.  

Il quartiere è molto cambiato rispetto 20 anni fa. La maggior parte dei bar hanno cambiato gestione ed ora ci sono molti stranieri. 

Prima amava fare tragitti più lunghi, perdersi nelle vie e tra i quartieri di Milano.  Tre anni fa però, per un calo improvviso di pressione, cadde e si ruppe una gamba. Da quel momento iniziò ad utilizzare il bastone e a muoversi di meno.

Nel tempo libero fa visita ad alcune signore anziane che ancora assiste e nei bar della zona per scambiare due chiacchiere con le persone che li frequentano. 

Mattia ama la sua città e i milanesi. Ama ritrovarsi negli angoli che gli ricordano la città com’era un tempo, ama ascoltare le storie di signori anziani che frequentano le osterie, milanesi campanilisti, autentici, che sanno ammaliarti con le loro storie della Milano che fu. 

I colori della vita

Nel chiedergli quali sono i colori che hanno contraddistinto la sua vita, Mattia mi riferisce di aver vissuto molti momenti grigi, neri. 

Primo fra tutti quando si è trovato da un momento all’altro senza casa e senza lavoro. Il Mattia di ieri è stato un uomo pieno di delusioni, di sogni non realizzati, di amicizie sfumate.

La sua vita 20 anni fa subì un profondo cambiamento. Si rimboccò le maniche e grazie la sua tenacia trovò le forze per rialzarsi e andare avanti. “Nessuno ha una vita tutta bella o tutta brutta…Quei momenti grigi li devi superare. Non puoi metterti a piangere”. 

Il colore preferito è il verde, colore della speranza, della tranquillità. Di momenti verdi ne ricorda però ben pochi, il colore gli ricorda la sua giovinezza, quella sana incoscienza giovanile che permette di sognare e di non vedere il lato oscuro della realtà. 

“Ma la felicità vera e propria non esiste “dice Mattia“Ora sono sereno, tranquillo, mi adeguo a quel che mi riserva la vita”. 

“Ho avuto una vita di delusione e di amarezza. Ho imparato che devo stare per conto mio, con tutti e con nessuno. I giovani di oggi li vedo molto diversi da come eravamo noi, sono duri, freddi, calcolatori. Con un forte odio nei confronti dei propri genitori. Mi piacerebbe invece che ci fosse più armonia, che purtroppo non vedo riflettersi nel mondo”. 

Malgrado questa scorza dura, che i dolori della vita hanno contribuito a rafforzare, Mattia è uomo generoso, fatto di quella generosità che mette subito a proprio agio. 

A tutti coloro che incontra e che si siedono a scambiare due chiacchiere con lui, regala le iniziali disegnate del loro nome incastonate in splendidi arabeschi colorati che crea lui stesso. 

E ogni volta è come se donasse agli altri e al mondo un pezzo di sé. 

Quando esco dai nostri colloqui ho un grande sorriso stampato in faccia e mi sento più leggera. Oltre a donarti le sue creazioni Mattia ti lascia storie, sorrisi, insegnamenti.

Mattia è un uomo attento, curioso, intelligente, parla di sé ma lascia spazio all’altro; crea arte e armonia. 

Racconta storie legate alla sua vita, alle persone che ha incontrato, portandoti indietro nel tempo e facendoti rivivere le atmosfere di allora. 

Mattia racconta storie che incantano, basta saperle ascoltare.