Madame Rosa <<Io sono nata e basta>>                                                                                                                                        

Rosa, un nome di fantasia, di origine molisana trasferitasi a Milano in giovane età, è una donna dai capelli biondi e raccolti, indossa degli occhiali dietro ai quali nasconde un paio di occhi piccoli e dal colore indescrivibile: forse nocciola o forse verdi sfuggenti. All’inizio ha uno sguardo diffidente ma parlando, col trascorrere dei minuti, si addolcisce nei ricordi fin quasi a commuoversi.

È una persona magra ed elegante e delicata nei movimenti e il bastone che l’accompagna, se all’inizio le dà un atteggiamento quasi altero, raccontandosi, così come si è trasformata lei, cambia abito diventando il suo compagno di vita quotidiano.                                                                                                                                                                                        Pasqualina, la biografa

 

Sono nata in un paese del Molise nel 1940. Mia madre, anche se non sapeva né leggere né scrivere, era una donna molto fine, educata, buona e onesta. Ha fatto molti figli che però nascevano e morivano e, all’epoca, non si sapeva il perché. Dopo molti anni ho saputo che il motivo riguardava il fatto che i miei genitori, erano cugini di primo grado. In seguito ho saputo, anche, che le mie nonne erano sorelle tra di loro. Mio padre era bolognese di nobili origini. Io sono l’ultima di quattro figli sopravvissuti su quindici nati; prima di me c’erano due sorelle e un fratello. Ero molto legata alla mia mamma e per me lei era tutto e quando è morta, avevo diciassette anni, con lei sono morti tutti i miei desideri: andavo a scuola, studiavo, ho fatto l’avviamento, ho fatto un po’ di ginnasio ma poi dopo che è morta non ce l’ho fatta più …. però la vita continua. Per quanto riguarda il rapporto con le mie sorelle era differente: la mia sorella più grande era gelosa di me perché ero l’ultima figlia ed ero bella e mi sfruttava, mentre con la seconda ero più  legata ed è l’unica che mi è mancata quando è morta. Mi ha insegnato tutto: a stirare, a cucinare.

A sedici anni mi sono trasferita a Cesate perché mia madre era ammalata e mi ha mandato da sua sorella a lavorare. Sono arrivata in stazione a Milano con una mia cugina ed indossavo degli abiti da uomo, che alcuni parenti mi avevano obbligato a mettere, e all’epoca vedere una ragazza con i pantaloni colpiva. Alcuni ragazzi che andavano a scuola lì vicino vennero attorno a noi e dissero: “Perché la vestite così questa? Non dovete vestirla così. Questa è una ragazza”. Allora mia cugina rispose che io ero portata di vestire in quel modo.  Questo mio modo di vestire aveva scatenato, nel paese di Cesate dove abitavamo, un gran baccano perché la gente non riusciva a capire se fossi maschio o femmina.

Fin da piccolina, sentivo di essere nata e basta, con le mie virtù e le mie specialità. Poi col tempo, intorno ai quattro anni, crescendo sentivo di essere diversa. Andavo in giro per il paese vestita con gli abiti delle mie sorelle, tuttavia anche mia mamma e le mie sorelle vedevano che mi sentivo diversa.

Andare da questa mia zia per me è stata sia una disgrazia sia un tradimento perché mi faceva lavorare e diceva: “Questi qua me li prendo io (soldi) i prossimi li mandiamo alla mamma ….”ma non le ha mai mandato niente. All’età di diciotto anni, senza dire niente a nessuno, sono andata via da casa sua, sola, con una valigia e con l’intento di mantenermi. Dormivo in ogni posto che capitava, anche per strada, pur di poter avere la mia vita libera. Ci ho messo parecchio tempo a ritornare ad una vita diciamo “normale” e ciò che mi ha aiutato è stato l’avere avuto una bella voce. Ero una cantante lirica. Fin dai sette anni, cantavo ai matrimoni canzoni come l’Ave Mariadi Schubert e mia mamma sentendomi cantare mi disse che eravamo imparentati con un famoso tenore.

A ventuno anni mi sono trasferita a Milano. Sapendo che, periodicamente, una grande cantante dell’epoca si rivolgeva al Piccolo Teatro, a quel tempo era un teatrino, per la ricerca di nuovi artisti da lanciar nel mondo dello spettacolo sono andata là a cercar lavoroe siccome volevo imparare a cantare in modo corretto, sono andata a lezione da una pianista che impartiva lezioni sul bel canto alle attrici e agli attori. All’inizio, la mia richiesta di diventare sua allieva fu rifiutata poiché seguiva già molte allieve. Mi disse: “Guardi, lei è una bella ragazza, si farà strada”.Ma io non mi diedi per vinta e così andai sul balcone dove cantai Vissi d’arte della Tosca.

Dopo avermi sentito cantare, mi richiamò dicendomi: “Ma venga qua, con quella voce dove vuole andare?”. Ho iniziato in questo modo. Ho avuto una vita difficile anche quando lavoravo; ho cominciato pian piano e ogni volta che trovavo un lavoro chiedevo se potevano darmi un acconto.

Avevo ventiquattro anni quando mi trasferii a Genova e lì ho incominciato a lavorare nel teatro e con il canto. Ho conosciuto grandi artisti tra cui Aldo Fabrizi, Oreste Lionello. Frequentavo delle amiche che erano un po’ “mascoline”, per questo motivo agli occhi degli altri sembrava una brutta compagnia, ma nessuno mi scambiava per un maschio.

Io sono stata fortunata perché avevo una voce da lirica. Per lavoro ho viaggiato in Italia e all’estero: Francia e Stati Uniti. A ventisei anni compiuti cantai al San Carlo di Napoli; i più grandi artisti del tempo erano lì … hanno saputo quella che io ero ma questo non interessava … io non avevo un documento di identità ma era la voce quello che importava. Cantavo le canzoni napoletane più famose come ‘Na sera ‘e maggio, Torna a Surriento, Funiculì funiculà, Core ‘Ngrato eTuppe tuppe, Marescià.

Col tempo ho conosciuto delle grandi personalità quali Dalida, il ballerino di boogie Bruno Dossena e il coreografo americano Paul Steffen che mi disse che ballavo bene e così mi insegnò vari balli come il tip tap, il can can e tutti i balli adatti per il teatro.

Ho fatto svariati lavori nell’ambito del teatro: l’attrice di prosa, la ballerina, la controfigura di una famosa attrice italiana e pur di riuscire a mantenermi mangiavo pane e cipolla. Fin da ragazza avevo temperamento, avevo carattere, personalità e una bella figura. Assomigliavo a mia madre, ero acqua e sapone, non mi truccavo se non la sera perché dovevo andare a lavorare in teatro e ricordo che quando passavo per la strada gli uomini si giravano e urlavano … colpivo come ragazza.

Ho avuto un grande amore. Dovevo sposarmi, lui era di Foggia, aveva qualche anno in meno di me e ci volevamo bene. Siamo stati fidanzati per cinque anni. A trentatré anni ebbi un contratto negli Stati Uniti per un periodo di sei mesi e prima di partire gli dissi che al mio ritorno avremmo deciso se sposarci o no. Ma mentre ero all’estero mi telefonò per dirmi che si era sposato con la sua ex. Dopo un paio di anni, nel momento in cui cominciavo ad andare in dialisi, mi telefonò per dirmi che la moglie lo aveva lasciato proponendomi di ritornare insieme e di educare il figlio con lui. Io mi sentivo un po’ legata, ero innamoratissima, ma gli risposi: “L’acqua che passa non passerà più”. Dopo di allora non l’ho più risentito.

A trentacinque anni sono andata in dialisi per due anni, e un giorno sì e un giorno no, andavo avanti e indietro da Milano a Lodi con la Maria Bambina,che era un pullman. Poi finalmente ho potuto sottopormi a dialisi a Milano e in seguito, dopo quasi un anno, ho fatto il primo trapianto.

La mia vita, non solo quella artistica, è stata interrotta per problemi di salute e resa difficile dall’ospedale. All’età di trentacinque anni ho subito un’operazione ed è stato in quell’occasione che i medici mi dissero che non ero né uomo né donna. Ero sbalordita. Non sapevo come dovevo affrontare la mia vita. Mi chiedevo come e cosa fare. È l’ospedale che mi ha reso la vita difficile. Per anni io mi chiedevo: cosa sono? Cosa non sono? Non sapevo più vivere.

Quando ho dovuto fare la carta d’identità hanno scritto che ero uomo. Mi sono rivolta ad un avvocato e quando gli ho spiegato la mia situazione, lui, dapprima, è rimasto stupito e poi mi ha detto che sarei dovuta andare, con tutte le amiche che erano trans, a Roma a manifestare perché così il nome ce lo avrebbero dato. Così nel 1975, per varie settimane, affrontavo il viaggio da Milano a Roma per manifestare, insieme ad altre amiche, per ottenere il nome nuovo. Chiunque mi vedeva mi chiedeva che cosa ci facessi là perché rispetto alle mie amiche ero “diversa”: non ero mascolina. Eravamo circa cinquemila donne. Dopo aver ottenuto il nome sono ritornata al paese natio per cambiarlo e ho avuto così modo di leggere quanto il medico di famiglia aveva scritto sull’atto notorio: chi era nato non era maschio e non era femmina.

All’età di 41 anni ho avuto un documento con sopra scritto il mio nome.

A cinquant’anni, quando sono andata in ospedale per fare il primo trapianto, mia sorella disse al dottore che non ero normale dalla nascita. Io sapevo che i miei genitori erano cugini di primo grado ma non gli avevo dato molta importanza. Se ci penso non posso dire nulla sui miei genitori perché a quei tempi ci si sposava così tra parenti. È stato un medico che mi ha detto cosa dovevo fare e cosa dovevo prendere. Io non sapevo come mi dovevo far chiamare. Da quel momento mi hanno dato dei farmaci che mi stanno guarendo. Loro si sono sbagliati sul mio conto. Dopo alcuni anni ho saputo che quando mi è stato fatto il primo trapianto mi è stato dato del sangue infettato e in seguito, per questo motivo, mi hanno dato un farmaco da prendere. Ho finito di prenderlo e ora va tutto bene.

Poco prima dei settanta anni ho iniziato un’altra dialisi, quasi tre anni di dialisi, e a settantuno anni ho fatto il secondo trapianto. Se ripenso a quando ero piccola , ricordo che già a tre anni avevo dei problemi nell’urinare e mi sentivo male.

Col secondo trapianto, i medici, a mia insaputa, mi hanno prescritto una terapia ormonale, ormoni maschili, che mi provocava vari problemi finché non mi sono rifiutata di continuare a prenderli.

Tra i miei hobbyes, ci sono il dipinto e la scrittura. Ho scritto qualche canzone e delle poesie ma senza averle mai pubblicate: le ho scritte per mia madre, per mio padre e per avere dei ricordi della mia famiglia perché se da una parte le mie passioni sono state il canto e il ballo un posto caro nel mio cuore sono gli affetti.