Il mio nome era il nome della mia nonna paterna, morta giovanissima di spagnola, lasciando sei figli tutti piccoli, dicevano che era una donna dolce di carattere molto gentile. E di fatto nella casa di mio padre c’era una fotografia in bianco e nero che la ritrae e che rimanda l’immagine di una donna che sembra abbia tali caratteristiche. Un ovale perfetto, dei capelli raccolti con un ciuffo dietro la testa. Morta a poco più di trenta anni, lasciando bambini molto piccoli che sono stati allevati dalla sorella nubile come usava allora. Mi sono trasferita in via Gola dopo la morte di mio marito, prima vivevo in un paese, un piccolo paese in provincia di Piacenza e dopo la morte di mio marito per stare vicino ai miei figli mi sono trasferita a Milano dove avevo già vissuto durante la mia giovinezza fino a trenta anni. Sono approdata al Ticinese perché i miei figli tutte e due abitano in questa zona. Il quartiere mi piace molto è un quartiere molto vivo, a parte la bellezza dei navigli, delle acque, non ricordavo questo quartiere. Un quartiere molto complesso, non è un quartiere di periferia eppure ha anche nella via dove abito io delle enclave di disagio sociale, case occupate, spaccio di droga, è un quartiere molto composito ed è per questo che mi piace, i miei figli mi hanno aiutato a decifrarlo in questo senso.

Un quartiere pieno di contraddizioni. Contraddizioni molto forti io essendo anziana non esco alla sera, di giorno vedo, c’è una multietnicità che non mi dispiace, donne con il velo, molti stranieri e questo a me piace, il discorso che potrebbe essere più complesso come quello della droga, che viene spacciata di notte è un aspetto del quartiere che io non vivo, non vedo, queste contraddizioni non mi disturbano.

Ci sono diversi luoghi che amo particolarmente, il vecchio caffé che si affaccia sul naviglio, molto antico frequentato dalla gente del posto, tutte persone anziane anche i proprietari sono anziani, poi c’è un negozio di un giovane, un negozio slowfood che vende frutta e verdura e altri generi alimentari biologici. Il ragazzo che vende questo tipo di prodotti è interessato al biologico è una cosa che mi piace, ci si ferma a chiacchierare, ci trovi persone di vari tipi, persone di estrazione sociale più elevata mescolate a persone del posto. Un altro luogo che mi piace molto legato alla mia zona è S.Eustorgio, mi piace la chiesa romanica molto bella che ha davanti una piazzetta con alberi e aiuole fiorite, intorno ci sono dei bar con dei tavolini all’aperto d’estate. La chiesa è particolare perché oltre alla facciata ha una lunga abside, circondata da un piccolo giardino sempreverde chiuso da una cancellata. Ci vado spesso a volte entro in chiesa, oppure sto all’esterno e cammino lungo l’apside guardando la torre, i particolari che ogni volta mi sembrano nuovi.Io sono nata in un paese dove ho abitato fino a dieci anni, sono poi venuta a Milano e in questo senso mi piace Milano, è una città che cronologicamente corrisponde con il tempo della mia giovinezza. Mi sono sposata e sono andata a vivere nel paese dove sono cresciuta e sono tornata a Milano nella vecchiaia e però avevo ricordi, io abitavo in Corvetto, in periferia, ora vivo qui però Milano è quella città che ricordavo, grande metropoli molta gente ma già ai miei tempi era in parte così, una città che ho riconosciuto.

Quando sono venuta a Milano dalla campagna erano gli anni ’50, sono andata ad abitare in una casa popolare, che era stata assegnata ai dipendenti statali, infatti i miei genitori erano maestri elementari. Ma nella casa non abitavano solo insegnanti, abitavano dipendenti comunali, ricordo un maresciallo della finanzami ricordo degli impiegati. C’erano molti meridionali, erano quattro palazzine in un cortile, eravamo nel periodo della immigrazione interna quella dalla campagna alla città, come è stata la mia famiglia e quella dal sud al nord si incontravano due immigrazioni. C’erano ancora dei resti del dopoguerra c’erano delle piccole casa in un viale: Viale Omero. Confinava nei prati era l’estrema periferia c’erano delle casette prefabbricate che ospitavano ancora persone danneggiate dalla guerra e ci sono state per anni. Io abitavo in una piazza più rotonda molto vicina al Corvetto, Piazzale Gabrio Rosa. La casa dove abitavo era ad un incrocio tra una Piazza e una Via, che finiva nei campi. Dalla mia stanza vedevo la torre dell’abazia di Chiaravalle estrema periferia. Mia madre insegnava in una scuola di piazzale Corvetto e mio padre insegnava in una scuola di via Ravenna che era proprio in mezzo ai campi. 

Il corvetto anni ’50 era un mondo di migrazione interne però, tanti linguaggi meridionali, tanti linguaggi del sud, mio padre insegnava all’estremo limite del Corvetto aveva bambini che parlavano il dialetto a cui aveva dovuto insegnare l’italiano. Lui era un maestro molto moderno e portava a casa i compiti da correggere e lasciava le parole in dialetto, non le sottolineava, non le correggeva. Mi è venuto in mente questo discorso della pluralità di linguaggi, non della multietnicità. E anche io che venivo dall’Emilia e parlavo con un accento piacentino in classe dai miei compagni milanesi venivo presa in giro per la mia accento. Del Corvetto ho diverse immagini, nebbie talmente dense e compatte per cui qualche volta non trovavo la via dove abitavo. Percorrevo la via parallela e siccome c’erano ancora delle fabbriche aveva un odore acre e cattivo, dei nebbioni in cui le persone erano ombre, magari incontravo mio padre che mi veniva incontro al tram e non lo riconoscevo se non quando eravamo vicini. Ho ritrovato questa nebbia sui navigli, ma è una nebbia leggera.

Milano è cambiata molto dal punto di vista della multietnicità però l’ho sempre vissuta come una città piena di vita, con tanta gente che non conosci, gente che incontri ma non approfondisci l’incontro. Stai in mezzo alla folla, tutte queste sensazioni che io avevo provato nella mia giovinezza le ho ritrovate. Non ti senti osservata fai quello che vuoi, vai e vieni, ho ritrovato queste emozioni, in una città diversa più multietnica, anche in questo momento della mia vita.

Là dove sono cresciuta

Io sono cresciuta in un paese piccolo ho tanti ricordi, ho fatto li le scuole elementari e ricordo queste grandi classi di trenta bambini, queste aule. La scuola era alloggiata in un vecchio castello, durante la guerra, queste aule enormi, questi banchi enormi, stanze scaldate a legna e poi nel paese i giochi con i bambini per strada. Sono cresciuta in collina, in provincia di Piacenza, un paese di agricoltori, di piccoli proprietari terrieri, piccoli appezzamenti di terreno, ultimante sono stati utilizzati per la viticultura, quando ero piccola vi erano ancora campi di grano, di fienagione era molto più differenziato dal punto di vista naturale adesso vi è quasi una monocultura che poi è una viticultura. Sono  nata nel periodo in cui è scoppiata la guerra, il primo ricordo avrò avuto due anni, si riferisce a quando è stato bombardato il ponte che collegava il paese alla strada provinciale e noi ci siamo, io mia madre e alcuni miei fratelli mio padre era prigioniero, mio fratello e una delle mie sorelle, ci siamo trasferiti, siamo sfollati e abbiamo risalito la collina verso delle cascine lontane dal paese. Avevo due o tre anni. Mi ricordo una giornata in cui noi siamo sfollati verso una cascina di nostri parenti a pochi km dal paese era giugno, e io ricordo una strada polverosa, bianca che passava in mezzo a questi campi di grano.

Mio papà

Avevo tre anni, ero più grande, mio padre è stato fatto prigioniero nel ’43, dopo l’8 settembre. Lui era tenente in Grecia dopo l’8 settembre i tedeschi hanno chiesto la loro resa, non si sono arresi e sono stati trasportati in campo di concentramento, avevo appunto tre anni. Quando siamo sfollati eravamo io mia madre e due fratelli, mio fratello e mia sorella appena nata. Ho un’immagine di questa carrozzina che veniva spinta su questa strada e di questa bambina che piangeva, mia sorella Marta. Piangeva disperatamente, ho l’immagine di noi che salivamo verso la collina e salendo con i campi di grano mia madre spingeva questa carrozzina con questa bambina che piangeva. Associo a questo ricordo Il colore giallo del  grano ma ho in mente anche un colore dell’inverno. 

Eravamo sfollati in una piccola casa proprio sulla cima di una collinetta da nostri parenti. Da noi si festeggia Santa Lucia che è il 13 di dicembre e mia nonna che era una donna molto forte faceva la spola tra il paese e questa cascina per fare la spesa lei teneva aperta anche la casa del paese, mia nonna avrà avuto 50 anni. Ed era il giorno di Santa Lucia, dalla casa si vedeva una curva, vi era stata una grandissima nevicata io guardavo fuori dalla finestra vedevo il pendio, ad un certo punto in questa neve bianca ho vista la figura nera mia nonna era vestita sempre di nero, l’immagine di mia nonna che arrancava nella neve che ci portava i doni lasciati da Santa Lucia nella nostra casa del paese.

Ricordo  poi l’odore della legna della stufa e  il suono delle campane della piccola chiesetta del paese e  il sapore del minestrone che mia madre faceva di estate, che veramente mi è sempre piaciuto moltissimo, il sapore di questa minestra di verdura incredibile…

La canzone dell’infanzia

Mio padre amava molo l’opera e quindi ci cantava arie d’opera e molte volte le cantavamo tutti insieme io e i miei fratelli, i miei fratelli erano molto intonati io ero stonata e ho vissuto come un grande complesso questo fatto. Ricordo alcuni brani d’opera ricorrenti che si cantavano dopo cena, allora non c’era la televisione “Di quella pira l’orrendo fuoco” del Trovatore di Giuseppe Verdi, “la gelida manina” di Puccini e “Marta Marta tu sparisti”, di un’opera di cui non ricordo titolo e autore. Mio padre ascoltava alla radio le opere seguendole con il libretto alla mano, ma anche i concerti di musica classica che venivano trasmessi sponsorizzati dalla Martini e Rossi, una sera alla settimana. A noi bambini veniva richiesto un silenzio assoluto. Mia madre invece a tavola ci cantava una canzoncina molto breve che diceva così “c’era una volta un piccolo naviglio che non sapeva, non sapeva navigar. Ma dopo una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette settimana il naviglio navigò”, era un modo per imparare i numeri. La mia famiglia era numerosa, nel periodo dell’infanzia eravamo cinque figli, famiglia che si prestava a questo cantare in gruppo, una delle mie sorelle, Marta era molto intonata e perciò veniva sempre lodata e mio padre sognava per lei una carriera di soprano.

Io sono  stata poco bambina sono cresciuta molto in fretta. Ogni due anni a partire dalla mia nascita nasceva un fratellino, siamo arrivati a cinque alla fine della mia infanzia. Quindi aiutavo molto mia madre, mia nonna che aiutava mia madre, questo aiuto veniva richiesto dalla situazione, mi piaceva molto, volevo essere la donna di casa. A volte perfino mia nonna mi diceva di lasciare fare a lei. Ero molto giudiziosa e ubbidiente, molto sensibile, assorbivo molto gli umori di casa ero molto dipendenti dagli umori di casa, se mio padre si arrabbiava con mia madre partecipavo molto. In parte questo modo di essere era legato ai metodi educativi di quell’epoca, in me c’è stato un surplus di atteggiamenti. Non ricordo di aver giocato, qualche gioco in cortile con i miei cugini di estate, stavo vicino a mia madre vedevo giocare gli altri, facevo i lavori di casa e mi piaceva. Mi sentivo utile, mi sentivo bene, importante. Non ho avuto la dimensione del gioco. Io ho avuto un legame molto stretto con mia madre che percepivo molto affaticata. Mio padre parlava molto, vedevo mia madre in un ruolo più subalterno anche se più tardi ho capito che aveva la sua personalità. Anche se in quel momento la vedevo da proteggere sempre incinta, accaldata. Mia mamma ha avuto delle gravidanze normali, ingrossava molto aveva problemi di movimento ma è stata una grandissima mia impressione, non ha avuto problematiche mediche. Certo le gravidanze sono state tante e questo mi dava una percezione e una impressione profonda. Una volta infatti in una breve psicoterapia fatta dopo la morte di mio marito, per affrontare il lutto mi è stato detto che sono stata io la madre di mia madre.

Nella mia famiglia c’erano degli interessi culturali, anche la musica classica, mio padre ascoltava il concerto della Martini Rossi settimanale e ci faceva stare tutti fermi e zitti piccoli e meno piccoli ad ascoltare e poi c’era la parola più che la lettura, non leggeva favole, più tardi nell’adolescenza ci leggeva i poeti, Pascoli, era un raccontatore. Raccontava della sua stessa infanzia, del paese, del collegio, della guerra e della prigionia. Dalla parola sono passata alla lettura, non c’erano in casa tantissimi libri. A Santa Lucia che noi festeggiavamo mi è arrivato un libro di favole dei fratelli Grimm, un libro molto bello con una copertina di tela verde e delle illustrazioni molto colorate. Il primo libro è stato questo poi ho letto molti libri di favole. Un libro che corrispondeva al mio mondo, tutte le favole sono ambientate in campagna, nella foresta, mi rimandava al mio mondo rurale. Ci sono la campagna, il bosco i contadini che poi è la foresta nera tedesca, ci sono i boscaioli, le casette tra gli alberi, i bambini che camminano nel bosco, poi ho letto Pinocchio, Andersen, Perrault

LE PERSONE DEL PASSATO E DEL PRESENTE

La figura più importante della mia infanzia è stata mia nonna, la madre di mia madre. Che ha una storia particolare alle spalle che devo riassumere. Rimasta vedova poco più che trentenne perché suo marito che aveva partecipato alla grande guerra era stato dato poi per disperso durante la battaglia del Piave. E non è stato più ritrovato. E ’rimasta vedova con cinque figli, mia madre è nata quando il marito di mia nonna era in guerra e mia madre non ha mai conosciuto suo padre. Mia nonna era una donna fortissima, questa tragedia l’aveva segnata dandole una forza incredibile. Aveva allevato questi figli facendo qualsiasi tipo di lavoro, in campagna, due maschi diventati poi artigiani, mia madre l’ha mandata in collegio usufruendo di una borsa di studio riservata ai figli dei caduti della guerra, diventata maestra, una sorella è diventata suora nello spirito di quell’epoca e un’altra artigiana molto brava. Mia nonna era orgogliosissima di come aveva gestito la sua vedovanza di come aveva allevato questi figli, molto intelligenti dando loro un lavoro. Orgogliosa di non aver più dipeso da nessun uomo, lei diceva io sono una delle poche vedove di guerra che non si è mai voluta risposare, l’orgoglio di aver fatto da sola. Una capacità lavorativa incredibile, amava qualsiasi lavoro che facesse vissuto come una cosa soddisfacente, è morta ad 80 anni e per tutta la vita ha parlato così. Era una donna piccola, non magrissima, occhi azzurri molto piccoli che sfavillavano, parlava poco, parlava con gli occhi anche con i bambini. Io mi ricordo che i suoi occhi erano fulminanti, di solito gli occhi azzurri non sono così intensi ma lei aveva questo sguardo. Aveva allevato i suoi figli, fatto fronte alla loro crescita, anche quando si erano sposati era stata molto presente, aveva fatto fronte a mio padre, che era una persona di grande personalità lei teneva testa con una grande capacità, senza mai perdere la pazienza, ma dava giudizi secchi, io ero molto affezionata. Mi ricordo che tra gli anni 50’, quando abitavo in paese andavo volentieri con lei al mercato e mi comprava qualche piccola cosa, lei parlava con le persone era conosciuta aveva lavorato ovunque, lei sapeva di tutto, sapeva tante cose. Nel paese vi era una grande fiera, ma allora questi momenti erano forti e sentiti, lei mi comprava un oggettino, una bilancina, un grembiulino. Veniva ad aiutare mia madre, gestiva i bambini, andava a messa tutte le mattine, mi colpiva questo fatto, lei sempre vestita di nero andava a messa prestissimo, io la accompagnavo, allora le preghiere si dicevano in latino e lei il padre nostro lo diceva con un accento che era una via di mezzo tra il latino e il dialetto, era molto religiosa. Un altro ricordo, ne ho tanti, il due novembre grande cerimonia per la vittoria della prima guerra mondiale, guerra nella quale lei aveva perso il marito, il ricordo era vivo. Passava per il paese i reduci, gli alpini, noi avevamo una casa nella via principale, Via Roma aveva un balconcino che si affacciava sulla strada, la banda suonava sempre, il Piave mormorò non passa lo straniero, sul Piave i nostri soldati hanno resistito i Tedeschi non sono riusciti a passare, ma il quel luogo mio nonno era morto, scomparso durante questa battaglia. A mia nonna scendevano le lacrime mentre la banda passava sotto il nostro balcone. Era stata sposata 12 anni, mia nonna non era la vedova che era vissuta nel rimpianto ne parlava in modo misurato, parlavo molto di come lei aveva reagito a questa perdita. Del suo orgoglio di avercela fatta da sola. Dopo questa battaglia furibonda, molti erano scomparsi, nel momento in cui dopo un certo tempo ne veniva riconosciuta la morte, i famigliari la moglie usufruiva della pensione di guerra, il suo nome è sul monumento dei caduti in paese e lei si fermava con me davanti al monumento. Aveva dei rituali, lei aveva fatto la terza elementare, il marito si chiamava Giuseppe e anche lui aveva fatto la terza, aveva conservato delle lettere di suo marito con una calligrafia una sintassi incredibili, in una lettera aveva scritto e raccontava che scriveva anche per i suoi commilitoni che non sapevano scrivere. Lettere incredibili, mia madre aveva preso questa intelligenza e anche i miei zii, pur venendo da un ambiente semplice.

Un incontro che ha cambiato la tua vita

L’incontro con mio marito che ho incontrato giovanissima, avevo 18 anni completamente inesperta della vita e dell’amore. Era l’estate della maturità, ed ero molto felice di avere finito e andavo in paese da Milano da sola in treno. Prendevo il treno a Rogoredo era la stazione più vicina al Corvetto, i miei genitori avevano uno sconto sul biglietto ferroviario, c’era anche un pullman, poi con il pullman si arrivava al paese. Un treno che fermava a tutte le stazioni. Panche di legno, terza classe, poi ci voleva un’ora di pullman, tramite mia cugina ho conosciuto mio marito, io mi sono immediatamente innamorata, anche lui, io sicuramente. Io sono tornata a Milano, è stato un lungo fidanzamento che non si è mai concretizzato ufficialmente come allora usava. Ci si vedeva poco ognuno faceva la sua vita, da parte mia non ho frequentato altri uomini mi sono sposata a 29 anni. Mio marito è mancato nel 2009, noi abitavamo in una villetta circondata da un piccolo giardino, mio marito arrivava verso sera io ho questo ricordo uditivo, io sentivo la macchina che entrava nel cortile e poi i suoi passi, non passava dalla porta principale passava dalla cucina e io sentivo i suoi passi. Lui era una persona molto pacata non di grande parole ma affettuosa, arrivava con il suo sorriso, guardava i bambini non portava mai problemi del suo lavoro. Ricordo una mia grande felicità che fosse arrivato.

Una canzone legata a questo amore

Mio marito non amava le canzonette, io le ho sempre amate, alcuni stati d’animo e sentimenti. La canzone era l’Appuntamento di Ornella Vanoni. Parla di una donna che aspetta tra la folla un uomo che poi non arriva. Quando ci vedevamo in questo fidanzamento non ufficiale ci davamo appuntamento in Piazza Duomo, all’inizio della galleria. Una domenica verso le quattro, io ho aspettato, lui non poteva avvertirmi quella volta non venne io ho aspettato due ore. Poi ho saputo che non era stata bene sua madre. I sentimenti, il dolore era proprio quello raccontato dalla canzone, lo smarrimento, il dolore, mi è stata sempre molto cara questa canzone. Naturalmente poi le spiegazioni ci sono state dopo un mese, un incubo. Il mio matrimonio si è consolidato, era partito bene si è consolidato nel tempo. Io ero timida quel livello di confidenza, di complicità quell’ intendersi senza parlare, io l’ho avuto con mio marito Ernesto pur essendo all’inizio una persona arrendevole, la capacità di tener testa di dire le mie idee. Lui mi ha consentito di essere me stessa mi è mancato molto mio marito. I figli erano grandi non si parlava tanto ma c’era quello stare bene anche senza parlarsi, essere vicini ed essere contenti di essere li.

Ricordo con felicità una vacanza con mio marito. Un’estate siamo andati a Cetara un paese situato in Costa Amalfitana, i bambini erano piccoli, ho scoperto questo luogo del sud Italia, la più grande emozione. Pompei delle giornate intere trascinando i miei figli, con mio marito. Gli scavi mi hanno ricondotto ai miei studi classici. Momento di grande emozione e felicità.

Una domanda che non ti ho fatto che ti faresti

La domanda che mi farei è se mi considero una persona felice. Io non credo nel concetto di felicità in generale fina da giovane ho avuto momenti di felicità, di gioia, preferisco questa parola, alternati a momenti di malinconia. Anche la malinconia ha una sottile venatura di gioia, sono sempre stata una persona pensosa e nei momenti di grande dolore, ho sofferto molto ma sono stata capace di affrontarlo. In questo momento della mia vita, la vecchiaia, sono abbastanza serena e quando vado giù di morale e mi capita poi ritrovo qualcosa che mi fa ancora credere nella vita.

FOTO

E’ una foto che mia madre ha mandato a mio padre quando era in guerra, in questa foto ci siamo io mio fratello e la mia sorellina più piccola che è nata quando mio padre era già partito per il fronte e non la conosceva. Probabilmente questa fotografia mia madre l’ha mandata a lui soprattutto perché potesse vedere la piccola Marta, questo è il nome di mia sorella che lui non aveva visto. Mi intenerisce molto guardarla, intanto per la giovinezza di mia madre che adesso ricordo anziana, è morta a 96 anni. Poi io con le treccine e due fiocchi in testa ed io e mio fratello con i golfini ricamati a mano e poi mia sorella Marta con tanti capelli neri, lei era nata con tanti capelli e ricordo che tutti ammiravano questi capelli. Questa fotografia di mia madre giovane me ne ricorda un’altra di lei sempre giovane affacciata alla terrazza della casa del paese dove come già detto ho trascorso la mia infanzia. Su questa terrazza d’estata io e la mia famiglia cenavamo tutte le sere.

Mi ha detto che cenavate su questa terrazza come era l’atmosfera?

L’atmosfera era molto bella, la terrazza era una terrazza grande, che si affacciava sui tetti, aveva una ringhiera con un glicine grandissimo che occupava mezza ringhiera, mi ricordo poi a giugno un girotondo di rondini, che volavano sfiorando la tovaglia e nel paese c’è un torrione dei Farnese signori di quella zona, dove ancora oggi ci sono nidi di rondini e voli.

Queste serata prettamente estive quindi?

Si certamente estive, nel crepuscolo, la sera che scende il tramonto, mio padre poi ci faceva osservare il sole che tramontava dietro alle colline, poi veniva la sera accendevamo una lampadina, si soprattutto l’atmosfera esterna era meravigliosa, il volo delle rondini, il profumo del glicine i colori della sera che sfumavano, i profili delle colline che diventavano più scuri, devo questi ricordi a mio padre. Che ogni sera ci invitava ad osservare tutte queste variabili.

Quindi il tuo ricordo è collegato ad un periodo estivo di vacanza?

La vacanza si è concepita dopo almeno per la nostra famiglia, la fortuna era di vivere in un paese di campagna, la terrazza si, la vacanza era la terrazza ma anche il torrente. Nel paese c’era un bel torrente, parlavo del ponte prima, il torrente pieno di pioppi che si rispecchiavano nell’acqua, torrente dove noi andavamo regolarmente a fare il bagno.

Ci sono immagino altri ricordi legati a quelle serate?

Volevo raccontare un altro ricordo. Intorno alla terrazza c’era un altro piccolo mondo ho detto del rituale della cena, mio padre raccontava, il crepuscolo le belle luci, questa bella atmosfera estiva e poi c’erano, mi ricordo in questo cortile c’era un pozzo di un’acqua molto buona, allora l’acquedotto del paese funzionava non funzionava e all’ora in cui cenavamo sulla terrazza, le donne del paese venivano a prendere l’acqua dal pozzo e ho questo ricordo visivo di mia madre con questo vestito a fiori. Mia madre era una donna molto bella bionda sembrava una tedesca, con i capelli raccolti e un vestito a fiori che affacciata alla ringhiera chiacchierava con queste donne. Poi c’è un’altra persona importante di queste cene, la mamma di mia mamma, mia nonna, che tutte le sere dopo cena arrivava regolarmente vestita di nero anche di estate. Noi la vedevamo arrivare nel cortile, quindi sfuggivamo al controllo di mio padre. Ci affacciavamo, la chiamavamo, lei saliva ci dava qualche caramella ed era l’unica persona più di mia madre che riusciva a zittire mio padre che le voleva molto bene. Mio padre lasciava il posto a lei.

Come era tuo padre, come lo descriveresti?

Intanto di mio padre ho un ricordo visivo di quel momento dell’infanzia. Era tornato dalla prigionia in Germania, provato fisicamente, magro ed emaciato, aveva resistito, non aveva collaborato con i tedeschi aveva fatto questa scelta di rimanere prigioniero era stata una prigionia molto dura, era tornato provato, mio padre era una persona intellettualmente molto particolare. Una vivacità intellettuale molto forte, per cui è tornato e ha cominciato a raccontarci, quasi ogni sera mentre mangiavamo lui introduceva un pezzetto, un ricordo della sua prigionia. E’ stato un momento molto forte, io facevo fatica ad ascoltarlo, mi faceva troppa pena.

E avevi a quel punto quanti anni?

Sei, sette, otto anni, le cene erano in qualche modo uguali.

E tua madre, come la descriveresti?

Era molto dolce, molto più silenziosa di mio padre, affettuosa ma devo dire che avendo tanti figli era molto occupata dall’accudimento di questi figli e poi secondo me era in qualche modo dominata dalla personalità di mio padre, nel senso che lui parlava e raccontava tanto, lei era più silenziosa.

E i tuoi fratelli come erano e come sono?

Noi eravamo sette fratelli, sei femmine e un maschio, eravamo bambini tranquilli con l’eccezione di una delle mie sorelle Marta che da piccola aveva un carattere ribelle. Era molto intelligente e capricciosa, i suoi capricci venivano tollerati da mio padre perché lei era nata quando lui era prigioniero in Germania. Come ho già detto in un latro momento, mio padre raccontava molto, ogni giorno della sua prigionia e Marta che allora aveva cinque anni ed era molto sveglia, aveva percepito che la parola Germania era legato a qualcosa di brutto e quando mio padre la sgridava e lei si ribellava gli diceva ‘ti faccio gli occhi di ingermania’. Eravamo tanti fratelli tra me e gli ultimi c’era una differenza di età, quando Marta era piccola ero anche io bambina ma i miei genitori mi consideravano quella grande ed io mi rapportava con le mie sorelle più piccole come una bambina grande. L’unico maschio, Fabrizio era un bambino molto dolce e fin da piccolo è stato trattato con grande severità da mio padre, non mi sono mai data una spiegazione di questo atteggiamento di mio padre, atteggiamento che è poi continuato per tutta la giovinezza.

Hai una immagine di loro o di uno di loro?

Ho in mente e non capisco perché è una immagine ricorrente di una delle mie sorelle, la quarta Luisa, che aveva dei capelli molto belli che mia madre pettinava con grandi boccoli e un inverno qualcuno non ricordo chi, le aveva regalato un cappellino di velluto marrone che le stava benissimo, ricordo una sera che eravamo uscite di casa noi due, in un paese si usciva da sole, ed io ero molto orgogliosa di come lei era bella.

Una festa che trascorrevi con la tua famiglia

La vigilia di Natale che la mia famiglia ha sempre festeggiato con grande solennità si faceva una cena che in tempo di guerra era molto semplice poi si è arricchito diventando più elaborato e costruito come menù da me e dai miei fratelli. In particolare questa vigilia aveva come protagonista mio padre che amava fare il presepio, usando muschi, legni a seconda della idea che voleva realizzare, montagne fatte con la carta, un presepio diverso ogni anno, a cui lavorava solo lui, noi non partecipavamo, iniziava molto prima di Natale e lo concludeva la vigilia. Da una parte vi era la contemplazione del presepio finito e questa cena, che nel prosieguo del tempo ha coinvolto generi, nuore nipoti. Siamo arrivati a venti ventuno persone.

Come definiresti l’educazione che avete avuto tradizionale?

Non è stata una educazione tradizionale, questo è dovuto al fatto che mio padre era un maestro, un insegnante tra l’altro molto bravo nel suo mestiere. Ci dava molto stimoli di carattere intellettuale, è stata una educazione severa direi originale e cerco di spiegare perché. Mio padre esigeva un grande rispetto delle regole dal come stare a tavola al modo con cui si parlava, il tono di voce la capacità di ascoltare di non interrompere specialmente lui. Su questo interveniva costantemente ogni giorno, ogni sera. Un intervento capillare però poi la sua passione per la cultura, non per l’erudizione ci coinvolgeva molto. Però la sua passione per la cultura ci ha coinvolto ci ha segnato in senso positivo certo in futuro noi non avremmo avuto le sue stesse passioni, non necessariamente avremo poi amato gli stessi libri o musiche, però tutti siamo stati persone molto vivaci interessati e curiosi. Questo grazie a lui. Sia pure anche tra di noi fratelli in modo diverso.

Quanto ha inciso il suo essere maestro nel rapporto con voi?

La sua professione ha inciso era un maestro molto particolare, non solo rispetto ai suoi tempi era come Don Milani, non seguiva nell’insegnamento un metodo tradizionale era molto attento ai suoi scolori e individualizzava il suo insegnamento, rispetto ad ognuno di loro: in quel momento al Corvetto, erano arrivati molti meridionali bambini e bambine, le classi erano miste e lui riportava casa questi racconti di questi bambini del loro scrivere in dialetto, mio padre era un maestro appassionato e questa sua passione educativa questo capillare seguirci era dovuto al suo modo di essere insegnante. Lui riportava in casa le modalità di relazione, parlava molto lui. Non c’era differenza tra figli e scolari oso dire anche sul piano affettivo sul come l’ho percepita io.

Parole dell’infanzia da non dimenticare

Parliamo di parole, ma io ti rispondo parlando di un libro, il libro è i Promessi Sposi che mio padre adorava e citava continuamente. Molte parole e detti sono legati a quel libro. Faccio un inciso: mio padre citava continuamente i Promessi Sposi anche se conosceva tutta la letteratura, per quanto riguarda la musica amava Beethoven che lui definiva un filosofo della musica. Quindi parole, libri e musiche. La quinta sinfonia. Per la pittura e scultura adorava Michelangelo, facevamo delle vacanze in Versilia e fin da giovani ci portava a Firenze e le Cappelle Medicee, con queste sculture. Mi vengono in mente ricordi letterali, la mia educazione non è stata molto individualizzata, nel senso di un parlare a tu per tu con il padre.

Come racconteresti l’educazione che hai dato Tu?

Non è stata una educazione tradizionale, in parte per motivi storici, eravamo negli anni ’70 e in parte per reazione all’educazione ricevuta. E’stata una educazione improntata ad una grande libertà teorizzata dai pedagogisti dell’epoca. Questo fatto è stato agevolata dal contesto del paese. I miei figli sono cresciuti in un paese fin da piccoli si muovevano da soli liberamente, mia figlia che amava gli animali e la natura ha potuto godere nella sua infanzia di questa possibilità di muoversi in un contesto naturale che consentiva un continuo contatto con la natura, il mondo esterno e anche il contesto di paese favorire la possibilità di interfacciarsi con coetanei, in contesti liberi.

Una immagine per descrivere presente passato e futuro

Gli alberi del passato, i pioppi piantati vicino al torrente, file di pioppi con queste foglie tremule, un altro albero legato al paese che trovo a Milano è il tiglio, il paese aveva una piazza completamente alberata di tigli, ricordo questo profumo incredibile, quasi una cosa proustiana, quando sento anche in città il profumo del tiglio mi ricordo il passato. Gli alberi collegano il presente, il passato e anche il futuro. Avevo letto un articolo che raccontava di uno scrittore Testori che nel giardino dell’ospedale dal suo letto vedeva un albero e ne era consolato. Io penso che se dovessi essere ricoverata la vista di un albero mi consolerebbe. Mi piacciono talmente tanto che mi piacciono anche nei luoghi di mare.

Un colore 

Il verde,  amo il verde mi piace la vegetazione e l’azzurro con le nuvole e il grigio. Il colore del cielo nelle varie stagioni.

Un odore 

Mi piace l’odore dell’inverno, di bagnato, di acre, dell’autunno, nel paese in autunno vi era un odore di fumo perché i contadini bruciavano le sterpaglie degli alberi. Mi piace l’odore di bagnato di umido, di pioggia.

Una stagione 

Da giovane amavo l’estate, il sud, con i miei genitori si andava in montagna e la montagna non mi piaceva, troppo fredda non sfolgorante, poi ho cominciato ad amare l’autunno per i colori. Gli inverni se fossero pieni di neve. Nevosi. Prevale l’autunno.

Un cibo

Mi piace cucinare, ricordo i soufflè che avevo imparato a cucinare nella giovinezza che cucinavo con mio fratello. Poi cucinavo per la domenica sera la pizza tutte le domeniche quando eravate piccoli, facevo anche l’impasto. Ho sempre cucinato molto, la cucina emiliana, meridionale. Sono curiosa ma non ho particolari attaccamenti, non amo la cucina cinese e Giapponese. Amo la cucina meridionale.

Se dico la parola casa quale associazione

Per me le case sono le persone, quindi ho cambiato casa più volte non sono attaccata alla casa come luogo, i luoghi della mia infanzia sono i miei genitori e i miei fratelli, penso poco alla casa come luogo, anche la casa del mio matrimonio era i figli, mio marito. La casa sono le persone, a volte utilizzo la parola casa come metafora del loro incontro con la persona giusta, cosa che a loro è accaduta. Essendo nata e vissuta in campagna, amo la natura e la collina mi piace anche la pianura, la bassa, le rogge questo paesaggio che non è chiuso. La collina meno la montagna. Meno anche il mare, mi sono meno familiari. Ogni volta che rivedo questi paesaggi mi si muove qualcosa dentro.

Se dico la parola straniero

Quando ero giovane ho viaggiato poco i miei genitori hanno viaggiato poco, fuori dall’Italia, lo straniero per noi era qualcuno di cui non si parlava. Poi mi figlio all’università ha fatto un corso di Diritto sull’Immigrazione e ha scoperto questa passione per gli stranieri, lui ha viaggiato molto e si è laureato in Diritto Internazionale. E mio figlio ci ha trasmesso questa passione, in contemporanea in Italia sono arrivati molto stranieri e quindi gli abbiamo accolti in modo diverso dal senso comune credo. Pur non sottovalutando il problema che l’arrivo di tanti stranieri in una patria non loro comporti per loro e anche per noi delle problematiche di relazione sia sul piano del lavoro, sia sul piano delle appartenenze.

Un libro che consiglieresti ai nipoti

Ho regalato qualche libro ai nipoti facendo una grande fatica, magari con i nipoti grandi si parla di libri posso dire mi piace questo libro, non mi piace consigliare libri, consiglio la lettura. Ai bambini piccoli regalo libricini ma non esprime un consiglio. Regalare ai bambini fin da piccoli libri. Perché non consiglio un libro in particolare perché penso che la lettura sia una esplorazione spontanea e personale, qualche volta può arrivare il racconto di un libro che ti viene trasmesso con entusiasmo, ti arriva una suggestione che ti porta a leggerlo, mi è capitato. La lettura e avere per le mani un libro, ai miei tempi il libro era una esperienza sensoriale, tattile, olfattiva, la copertina, la carta, lo scorrere. Non potrei mai dire quale è stato il libro della mia vita, ho avuto autori che ho amato moltissimo di cui ho letto quasi tutto in momenti diversi della mia vita.

Un proverbio

Due proverbi che dicono più o meno la stessa cosa che diceva mia nonna, questa mia nonna che insieme e per certi versi di più il grande affetto e punto di riferimento della mia infanzia che si chiamava Luisa, ma veniva chiamata Gigina. I proverbi sono: ‘Parla poco e pensa assai che giammai non fallerai’, ‘il bel tacer non fu mai scritto’. Che contraddicono la mia personalità io parlo, mia nonna era taciturna, io che sono una persona di parole mi ha sempre affascinato il silenzio. Non sono mai approdata al silenzio. Fallerai è un latinismo dal verbo fallere, che vuol dire sbagliare.

I luoghi del cuore sono stati diversi dal paese alla città, dalla città al paese

Milano l’ho amata moltissimo, ho sentito quel senso di libertà mi piaceva, non so se avevo conosciuto la costrizione del paese ero talmente piccola, mi era piaciuto abitare a Milano, ma è complicato. Mi piaceva la città allora non si andava né al mare né in montagna, nelle medie la vacanza, i miei genitori erano maestri, durava tre mesi si tornava al paese e questo mi piaceva. Potevo uscire di più.

AMICIZIA E EDUCAZIONE TRA IERI E OGGI

Amicizie di ieri e di oggi

L’amicizia vera è un sentimento molto importante, che si basa o su affinità elettive, per cui non si è per forza dello stesso parere ma si ha una stessa sensibilità, anche se non si è d’accordo si ha un modo comune di confrontarsi. Nell’adolescenza ho avuto una sola amica con cui studiavo tutti i pomeriggi, andavo io da lei. Avendo tanti fratelli e poco spazio, lei abitava in una zona meno periferica a dieci minuti di strada. Al liceo stavamo nello stesso banco al Berchet, andavo sempre da lei abbiamo chiacchierato molto. C’era un rituale, lei aveva questa stanza studio, si chiamava Ninni. Cinque anni, studiavamo poi sua madre che ascoltava una commedia alla radio, ci portava il thè verso le cinque, qualche volta sono andata a cena da lei. L’esame di maturità richiedeva la preparazione di un mese siamo andate a Lavagna per preparare l’esame. Amiche di scuola, non avevamo il ragazzo, poche confidenze per il tipo di vita, legata alla scuola. Poi dopo il liceo ci siamo frequentate per qualche anno, io lavoravo e studiavo, ci siamo perse di vista.

Negli anni successivi io avevo iniziato a lavorare ai telefoni nell’internazionale, io sapevo il francese e ho incontrato un gruppo di ragazzi e ragazze tutti studenti e ho avuto due amicizie, una femminile e una maschile, che per l’epoca era una cosa insolita. Quella femminile con cui poi ci sentivamo sempre, lavoravamo insieme, poi c’era l’intervallo del mezzogiorno si usciva a mangiare insieme e c’era un ragazzo che lavorava con noi, studente. Ica e Arrigo, lui studiava statistica a Roma. Ho scoperto con loro la città, uscivamo alla sera e la domenica, erano gli anni 60’, Milano era all’apice. La Milano del teatro e del cinema. Con questi amici ho fatto la mia esplorazione del mondo della cultura, uscivamo andavamo a teatro c’era il Piccolo, al cinema era un momento storico del cinema italiano, si vedeva Fellini, Antonioni, Visconti. Mi sono innamorata sia del teatro che del cinema che sono due generi di arte che ancora oggi mi affascinano moltissimo e che riesco ancora a seguire. Stavo molto in giro, lavoravo con orari particolare riuscivo a ricavarmi dei momenti, sono stati anni intensi dal punto di vista della formazione culturale. Avevo incominciato a leggere autori non usuali in casa mia: Sartre, Simone de Beauvoir, autori impegnati, anche altri contestata da mio padre. Ho condiviso con loro questa passione per la cultura, andavamo in questi cinema d’essai, mi ricordo il cinema Orchidea in una traversa di Via Dante. Amicizie importantissime. Qui non ho legami di amicizia ho solo legami di conoscenza, non sono riuscita, ho lasciato due amiche nel paese, mi sento al telefono non è la stessa cosa mi mancano questi appuntamenti. Un legame trentennale. Nel paese ci si conosce tutti, il termine amicizia è un termine troppo omnicomprensivo, il fatto di conoscersi tutti di scambiare delle parole, sentirsi, più conoscenze che amicizie anche nel paese. Quando ero piccola anche con le mie compagne di scuola non posso dire che avevo l’amica del cuore, forse perché eravamo molti cugini e abitavamo in appartamenti distinti ma nella stessa casa, più o meno coetanei vicini di età si giocava tra di noi in questo grande cortile. In questo senso può essere stato un limite questo contesto. Ci si riuniva in questo cortile si stava sempre a giocare insieme in questo cortile.

Ero amica con le cugine, alcune compagne di scuola, sono stata sempre molto selettiva o è andata così, ho avuto una amica del cuore durante il liceo.Poi mi sono sposata, io poi mi sono sposata una persona del paese dove ero stata fino a dieci anni, ho avuto due grandi amiche con cui ancora oggi sono in contatto in paese ci si vedeva tutti i giorni, per una chiacchiera amicizie sentite profondamente.

Cosa ti sentiresti di consigliare ai giovani di oggi rispetto ai legami affettivi

Non mi piace la parola consigliare direi chiacchierare con un giovane, con una giovane ragazza. Fino alla mia generazione i rapporti affettivi sono stati un vincolo troppo condizionante, un obbligo introiettato, la fedeltà, il matrimonio. Quando mi sono sposata io abbiamo acquisito diritti importantissimi, la libertà di scelta di una donna. Forse questa libertà è diventata eccessiva, se è giusto rompere un legame la dove non corrisponde più alla tua volontà, prima di romperlo bisogna insistere un pochino, non confondere una crisi con uno sbaglio di scelta. Bisogna valutare che se il legame è importante, il portarlo avanti può farti capire molte cose. Le crisi possono essere momenti di crescita, si perdono alcune cose la passione, l’innamoramento, si acquista l’approfondire il sentimento che diventa complicità. Quindi darsi tempo di valutazione. Rispetto al tradimento non sono per il dirsi tutto, per il buttarsi in faccia tutto, io la reputo una cosa pericolosa, ci potrebbero essere dei tradimenti non significativi che potrebbero essere superati, credo ma poi dipende. Si cresce nel matrimonio ci possono essere degli inciampi.

E a tuo avviso come vedi l’educazione che viene data oggi dai genitori che conosci?

Io credo che l’educazione sia molto legata ai tempi in cui si vive ne è il prodotto. Quindi ora sono tempi tecnologici, la tecnologia ha fatto dei balzi in avanti enormi vi è stata una accelerazione, quindi l’educazione la vedo legata alla tecnologia con luci e ombre. Mi sembra di capire qualcosa vedo, qualcosa mi viene raccontato. I ragazzi dipendono molto da questa tecnologia, si interfacciano meno con i genitori, parlano meno. Sono più soli, forse si. Si parla di bambini che anche a tavola usano il telefonino. Al livello educativo il rischio è che relazionandosi meno con i genitori non ci si racconta. Quindi c’è una spaccatura queste due storie non comunicano, prima parlavano.

C’è una tendenza a sminuire le generazioni presenti in rapporto a quelle passate?

Essendoci stato un grande balzo in avanti per la tecnologia, ci sono delle novità così forti per cui è difficile capire che cosa produrranno queste novità. Il cambiamento è il dato ma che sarà irreversibile, c’è un passato importante, andrà custodito questa passato in quanto questa accelerazione potrebbe cancellarlo. Un futuro tutto da costruire, nella storia non si torna indietro la difficoltà di molti genitori che oggi l’educazione va impostata in maniera nuova.

C’è stata una domanda più faticosa di altre in questo dialogo?

La domanda sui genitori, mi è venuta in mente quel momento cronologico storico, mio padre tornato dalla prigionia, i suoi racconti e da una parte queste cene belle, l’atmosfera estiva meravigliosa e dall’altra questo dolore, questa sofferenza, questa crudeltà subita che mio padre si è portato dietro. Mi è venuta in mente un’altra cosa questa domanda mi ha smosso delle cose, ultimamente ho letto che ci sono state almeno due reazioni alle prigionie dure come quella di mio padre, una reazione quella del raccontare, un’altra quella del non raccontare assolutamente niente, del chiudersi in sé stessi, non raccontare niente ai propri figli, alle persone care. Più che la fatica mi ha colpito un fatto, non avrei mai creduto che queste domande mi potessero smuovere così, un flusso libero… hanno scatenato un flusso di coscienza.

Grazie Alice e grazie a Irene che ha accolto la tua storia!

Ne faremo tesoro