Rocco è del 1929. E’ nato a Scordia provincia di Catania, Sicilia. Ora abita al quarto piano di una palazzina di un piccolo complesso di case popolari, a metà di viale Monza a Milano. Non c’è ascensore:  -come può farcela a salire tutti quei scalini- mi domando.Viene ad aprire la porta una signora , si chiama Mary. è nigeriana. Più avanti nel tempo verrò a sapere che è in Italia da molti anni e ha due figli: una avvocato che vive a Londra e l’altro in attesa di andare a fare un master in medicina in Canada. Ma questa è un’altra storia. Alle sue spalle sopraggiunge Rocco, porta il nome del patrono del suo paese. E’ un piccolo signore dalla carnagione rosea, i capelli candidi, gli occhi azzurri e le spalle dritte. Sulla mensola della stanza, dove entriamo, spicca la foto dal sapore antico di una giovane e bellissima donna

– Chi è ?-

-E’ Concetta mia moglie da giovane, al tempo della foto avevamo già tre figli, ora non c’è più, è morta.-

Lui non prosegue ed io non insisto. Sul tavolo del luminoso salotto c’è una ciotola con delle arance, la tocco tanto per fare qualcosa che possa rompere l’imbarazzo del momento.

– Queste sono le arance di cui parlano gli esperti- dice Rocco – cioè quelle che hanno le qualità migliori, anticancerogene, per via dell’Etna,  per via della lava. Quelle della Sicilia sono le migliori arance di tutto il mondo, sono loro, gli esperti, che lo dicono-  rafforza il messaggio Rocco di fronte alla mia espressione che gli deve essere sembrata incredula. Io mi affretto ad annuire.

-Mio papà aveva un agrumeto- prosegue -e me ne ha regalato  un pezzo. Ed io, quando sono andato in pensione, me ne occupavo, mi piaceva, si mi piaceva stare giù .

Avevo la casa , mi piaceva stare lì e curare la terra. Un agrumeto ha bisogno di essere seguito per fare le arance buone. Ogni venti giorni va innaffiato, in primavera gli alberi vanno potati e concimati, il suolo va mantenuto libero dall’erba perché se no l’erba si mangia tutte le sostanze.  Stavo bene, poi c’erano gli amici e la domenica ogni tanto facevamo le grigliate in campagna, una volta è venuto anche il parroco. Poi quando tornavo indietro, dopo il raccolto, le arance le facevo arrivare a Milano, ai mercati generali, via camion, poi le vendevo ai privati e così guadagnavo molto di più che a venderle attraverso i commercianti giù in Sicilia che cercavano sempre di barare sul prezzo  alterando le bilance della pesa o comprando a corpo. Mio padre e la famiglia hanno provato più volte a fare i mediatori di arance ma non avevano abbastanza pelo sullo stomaco.

Dopo avere smesso di lavorare passavo a Scordia parecchi mesi all’anno, Concetta a volte mi raggiungeva un po’ più tardi, non voleva lasciare troppo a lungo figli e nipoti.

Per un certo periodo abbiamo cresciuto la bambina di Maurizio, mio figlio, il penultimo si era fidanzato, lei era rimasta incinta ma non ne voleva sapere della piccola, allora l’abbiamo cresciuta noi fino a che non ha avuto 4 anni, poi la madre l’ha rivoluta, per mia moglie è stato un grande dolore. Ma questo è stato prima, prima della pensione, prima di tutti gli sconvolgimenti.

In pensione sono andato a 60 anni.

Mia moglie era ancora viva, lei è morta nel 1996, praticamente 20/ 22 anni fa,… è morta…la storia è un po’ lunga… –

– Ma io sono qui, abbiamo tempo, sono qui per ascoltarla, mi interessa sapere.- sottolineo con sincerità. Rocco è bravo a raccontare riesce a portarmi dentro la storia.

– Cose belle, cose brutte, purtroppo la vita è così – dice Rocco.

– E’ morta perché in origine aveva il tumore al seno, l ‘hanno operata, è durata 6 anni, poi dopo sei anni gli è ritornato.

Un giorno siamo andati a fare una  Tac di controllo, qui vicino al San Raffaele, che allora aveva un altro nome. Dopo l’analisi l’infermiera mi disse: “porti a casa sua moglie e poi ritorni, che il professore le vuole parlare”.

Io capii che le notizie non sarebbero state buone.

Con la scusa di dovere fare controllare i fari della macchina sono uscito da casa, sono passato a prendere mia figlia e siamo tornati in ospedale.

Ci hanno dato 3 mesi, pensi che invece è durata ancora 2 anni – Rocco sottolinea con forza le ultime parole come per dimostrare che i medici ogni tanto sbagliano e che la vita e l’amore sono più forti.

– Era piena di metastasi. Lei era in cura al centro dei tumori e il giorno dopo siamo scappati lì con l’esito della Tac.

Gli hanno fissato un ciclo di chemioterapia che lei per fortuna sopportava bene, perché c’è anche chi non ce la fa. Solo l’ultimo ciclo, il sesto non voleva farlo, io la rassicurai. Al termine della cura facemmo la TAC e il tumore era scomparso, totalmente scomparso, tanto che io pensai che fosse un miracolo, avevo pregato tanto il Signore, comunque non so cosa sia stato, ma ad ogni modo avevamo avuto quella soddisfazione.

Purtroppo’ le medicine sono una lama a doppio taglio,  guariscono da un lato, ma fanno danni da un altro.

Le fecero un’altra TAC : il tumore non c’era più  però aveva un trombo.

“Ricoveratela subito perché con un trombo da un momento all’altro…”

In ospedale cercarono di sciogliere il grumo di sangue, operare non la potevano operare: “ Il suo stato di salute è troppo compromesso …”  Io però ho un rammarico, avrei dovuto insistere…perché lei aveva un fisico forte e avrebbe potuto sopportare un’operazione.

Tornò a casa, ma era troppo debilitata, un giorno vide sangue nelle feci e l’infermiera che veniva a casa ad aiutarci ci consigliò di andare subito in ospedale; stavano per operarla ma gli anestesisti si opposero:

“Ci muore sotto i ferri “ dissero.

Io avrei voluto che loro provassero, insieme ai figli avremmo voluto mettere la firma per l’autorizzazione perché sapevamo che lei era forte. E forse, forse, non si sa,  forse poteva anche salvarsi.

Invece non l’hanno operata, l’hanno curata con le medicine, e con le medicine dopo tre giorni è morta.

Conoscendo la tenacia e la forza di mia moglie forse avrebbe potuto superare l’operazione.

Aveva solo 59 anni .  Concetta, Concettina, era nata nel mese di novembre, lei  scorpione ed io ariete, ci volevamo bene, andavamo d’accordo, abbiamo avuto 5 figli, anzi 6 , uno è morto poverino, dopo un giorno, perché nato prematuro, ora ne ho 4, un altro è morto a 52 anni, ma di questo non voglio parlare.  La prima e l’ultima sono femmine, in mezzo i due maschi.

La più piccola è del 1965, 52 anni,  e la più grande è del 1954. Vede in quella foto, lì sulla mensola, avevamo già tre bambini.

Concetta  era del mio paese, abitava poche porte più avanti della mia,  lei aveva 15 anni, la conoscevo anche prima, ma poi a 15 anni abbiamo incominciato ad amoreggiare.

C’era differenza tra la sua famiglia e la mia, lei era orfana di padre, la mamma era vedova; noi, diciamo così, appartenevamo al ceto medio, loro invece erano più poveri e i miei genitori non vedevano di buon occhio una possibile unione, pensavano che io meritassi di più, allora io me la sono presa e abbiamo fatto la fuitina.

Ovviamente la famiglia di lei sapeva, ci siamo incontrati vicino alla ferrovia, lei ha rischiato di perdere una scarpa inciampando nei binari. Siamo andati a casa di sua zia, poi dopo qualche giorno siamo tornati. I miei non mi hanno parlato per molto tempo ed io ho dovuto cercarmi un lavoro presso padrone.

Prima lavoravo con la mia famiglia: mio padre aveva sposato mia madre e due dei suoi fratelli avevano sposato le sorelle di mia madre e lavoravano tutti insieme: affittavano macchine agricole a terzi. Inoltre mi ricordo che avevano preso in affitto 250 ettari terra nella piana di Catania e la lavoravano con i macchinari che possedevano: avevano seminatori, trebbia, trattori, mietitrice, insomma tutte le attrezzature necessarie che allora non  aveva nessuno solo qualche ricco signore.

Cosi io avevo imparato a guidare quei mezzi.

Faccio un passo indietro: io ero in collegio e siccome eravamo in guerra e gli americani bombardavano l’aeroporto di Catania, il rettore avvisò i genitori: “Venite a prendervi i ragazzi perché se succede qualcosa qui avviene un massacro.” Era il 1943, dopo pochi mesi gli americani avrebbero invaso la Sicilia, avevo appena iniziato a studiare il latino, mi ricordo ancora i verbi.

Sum es est

Nel mio paese c’erano solo le scuole elementari quelle superiori non c’erano. Allora mio papà disse: “No tu sei birichino, niente scuola, vieni a lavorare.”

Così divenni esperto nella guida dei mezzi agricoli e dopo la fuitina e l’allontanamento dalla famiglia questa esperienza mi è tornata  utile .

Ci siamo maritati alla chetichella, senza abito bianco, sa, dopo la fuitina, abbiamo preferito non fare rumore.

Abbiamo affittato una casa, ed io tramite amici che mi volevano bene ho trovato subito lavoro. Anzi mi ricordo che gli operai comuni che zappavano prendevano 800 lire mentre io prendevo mille lire al giorno (1959)

Non mi ricordo quanto pagavo di affitto, ma ci stavo dentro, tra il Nord e il Sud c’era la differenza come dal giorno alla notte.

Perché al Sud se pioveva non potevo lavorare e quindi perdevo la giornata, i giorni festivi non li conoscevamo neanche.

L’ingaggio… cosa facevano i signori datori di lavoro: ti ingaggiavano per 3 mesi dopo i quali, per non farti acquisire dei diritti, ti licenziavano. Sono arrivato a Milano  nel mese di agosto.  Qui già abitava  una mia cognata, la sorella di mia moglie, il cui  marito era di Catania, dove aveva  lavorato in un negozio, un colorificio, che vendeva i prodotti della Max Mayer.

Lui era bravo  conosceva tutti gli articoli, però lì lo pagavano tre soldi; non era un negozio della casa madre, ma di un concessionario che se ne approfittava, ma  pur di portare qualche soldo a casa, mio cognato si accontentava finché  decise di partire per Milano. Si presentò direttamente alla Max Mayer. All’ufficio del personale appena capirono la sua preparazione l’assunsero e lo mandarono in un loro  negozio in via Pirelli : stipendio, festività pagate, insomma tutti i diritti.

E’ stato in seguito ai suoi racconti e alle insistenze di mia cognata, che avrebbe avuto piacere ad avere vicina la sorella Concetta, che decisi di venire a vedere come stavano le cose al Nord e mi presi una settimana di vacanza. Arrivato a Milano, in cerca di una lettera di presentazione, mi recai in compagnia di mia cognata dal suo medico curante il dott. Floresta, un gentile dottore siciliano. “Benedetto ragazzo, mi disse, vieni qui d’agosto quando sono tutti in vacanza. E’ tutto chiuso. Aspettiamo settembre e vediamo quello che si può fare.”

Come facevo ad aspettare settembre, pensavo alla mia famiglia, erano giù da soli, intanto erano già nati tre figli.

Dissi a mia cognata: io non posso restare qui, stai scherzando.

“Aspetta, aspetta, non avere fretta” disse lei.

Mi lasciai convincere malvolentieri, ma rimasi.

Come promesso, i primi giorni  di settembre, il dottor Floresta

fece una lettera: “Lei va a Sesto S. Giovanni alla Radio Marelli, stabilimento A, si presenta in portineria e chiede dell’ingegnere tal dei tali e gli recapiti questa lettera.”

Saranno stati amici, non so.

Il giorno successivo, arrivato in portineria,  mostrai la lettera, mi chiesero di accomodarmi ed aspettare. Dopo una breve attesa mi consegnarono  una nuova lettera da presentare il giorno dopo allo stabilimento della Radio Marelli in via Adriano al sig. Radici.

Mi presentai lì l’indomani e data la mia esperienza di guida con i trattori etc. mi affiancarono ad un fattorino addetto alle consegne: io dovevo guidare e l’altro più esperto mi doveva indicare il tragitto. Ma appena girato l’angolo, il collega pretese di mettersi alla guida: non aveva voglia di perdere tempo con un novellino. Prima di rientrare riprendemmo i posti di partenza, io stetti zitto e lui mi sostenne con il capo il signor Radice.

Un uomo che scopersi nei giorni successivi essere cattivo, troppo severo, ci trattava con disprezzo, per fortuna non gli rinnovarono il contratto e se ne andò via.

Comunque quel giorno mi disse: “Domani presentati al n.52 di corso Venezia.”  Lì c’era la sede dell’azienda Radio Marelli.

La Magneti Marelli e la Radio Marelli producevano cose diverse ma avevano lo stesso proprietario, il conte Quintavalle sposato con la figlia di Marelli , che a loro volta avevano due figli maschi che morirono tutti e due affogati nel lago Trasimeno una spaventosa e tragica fatalità, oltre al dolore dei genitori l’azienda rimase senza eredi , tant’è che poi dovettero vendere parte dell’azienda alla Fiat che acquistò la Magneti Marelli i cui prodotti tergicristalli, batterie, motorini di avviamento etc., potevano essere montati sulle loro automobili.

Comunque andiamo per ordine, mi presentai in corso Venezia con il libretto di lavoro e mi domandarono : “Lei da quando vuole lavorare?”

-Da subito!-  risposi entusiasta

Prendevo 60.000 lire, mentre giù ne prendevo 30.000 e inoltre se pioveva non lavoravo, i festivi non mi venivano pagati , insomma non c’era paragone, essere trattato così, per me, era qualcosa di straordinario.

Ma ogni situazione ha i suoi problemi: dovevo trovare casa per ospitare mia moglie e i figli, non era facile, allora casa ai terroni niente, perché…loro, quelli del nord,  avevano ragione in un certo senso, ma anche noi avevamo le nostre ragioni: affittavano la casa ad uno e poi ne arrivavano 10, sbagliato vero, ma se avessimo detto di essere in 10 non ci avrebbero affittato la casa. Quindi, dove stava la ragione? Era la solita guerra tra poveri e meno poveri che c’è sempre stata da quando esiste il mondo.

Allora andai dall’agenzia loro che si prendeva una percentuale ancora prima di averti trovato la casa, perché conoscendo le difficoltà ad affittare ai meridionali puntavano a guadagnare subito qualcosa poi… Io offrii il doppio ma avrei consegnato l’importo a loro  solo alla firma del contratto.

Alla fine però la casa la trovai grazie ai compagni di lavoro, all’inizio i rapporti non erano stati facili, un po’ mi disprezzavano, mi davano del terrun, terrun, io non ci facevo caso, poi gli dicevo:

“tu da dove arrivi?”

“Bergamo, Mantova …” rispondevano.

“ allora, anche tu sei venuto a Milano a cercare lavoro? Tu sei come me solo che tu arrivi da più vicino e io da più lontano.”

Mi presero a benvolere tant’è che c’era una signorina di nome Italia che conoscevano che  doveva affittare la sua casa e me la presentarono..

Così mia moglie, i bambini e mia suocera mi raggiunsero a Milano e andammo ad abitare in via Golfo degli Aranci.

Anche mia moglie e persino i bambini si misero a lavorare, nel senso che io portavo dei lavoretti a casa come piegare dei fogli e metterli nelle buste, i bambini si divertivano, per loro era un gioco. Insomma ci davamo da fare. Mia moglie inoltre aveva trovato lavoro in via Porpora da Del Re, insieme a sua sorella, cucivano le trapunte.

E così andavamo avanti,  sempre stupiti dal rispetto dei diritti del lavoratore: venivano pagate le vacanze e  la malattia, si stava meglio che in Sicilia, la vita era più evoluta

La più grande delle mie figlie, Nuccia, frequentava la seconda elementare gli altri l’asilo.

Poi i miei compagni di lavoro mi dissero:

“Ma ci sei andato dall’assistente sociale?”

“ma chi è l’assistente sociale?”

“Vacci, tu che hai tanti bambini, vedrai che ti aiuta”

E io ci andai: era la signorina Carletti, che era una signorina grande, brava, gentile. Per Natale mi arrivò un pacco enorme, pollo, pasta, io mi meravigliavo a vedere tutto quel  ben di Dio.

L’azienda, allora che le cose funzionavano, aiutava molto. In estate offrivano  15 giorni di vacanza al mare, a Cesenatico,   ai figli dei dipendenti accompagnati dalla madre, pagavano tutto e si trattenevano solo gli assegni famigliari.  Avevano un’altra struttura a Gromo tenuta dalle suore dove potevamo portare i nostri bambini. Intanto la signorina Italia aveva voluto indietro la casa perché serviva al fratello, io ne avevo trovata un’altra nella stessa strada, avevo fatto domanda presso tutti gli enti che gestivano case popolari, anche qui ero venuto, qui prima erano più organizzati: la contessa Crespi Mobbio , quella del Corriere della Sera,  aveva fatto queste case per le famiglie numerose, via Sant’Elembardo quartiere Gorla, questa è tra le più piccole ma ci sono quelle da 4 locali, 5 locali, perché c’era chi aveva tredici figli.

Allora io avevo fatto la domanda e l’avevo portata qui direttamente, ma il ragioniere, qui allora c’erano gli uffici che si occupavano della gestione delle case, mi aveva guardato scuotendo la testa: “Non credo che possa avere speranze, si libera al massimo un appartamento o due l’anno e la lista di attesa è già lunga.”

Io ero stufo di fare traslochi, anche dalla nuova casa, dove ero andato a vivere, avrei dovuto uscire da li a poco. E poi gli affitti erano troppo alti per me, io guadagnavo 60.000 lire e l’affitto era di 30.000 lire

Allora mi recai dalla signorina Carletti, sapevo che la Magneti Marelli aveva delle case per i dipendenti. Ma le case scoprii, da una dolente signora Carletti, erano  appannaggio dei capoccia.

Poi la signorina decise di chiamare l’assistente sociale delle case Crespi, anche se io l’avevo messa al corrente della risposta negativa ricevuta. “ Come, non hai una casa libera? E allora tutte le persone che mi hai mandato ed io ho sistemato in fabbrica? Non pensi di dovere ricambiare? ”

Capii che dall’altro capo del telefono protestavano, ma davanti alla minaccia della Carletti di chiudere il rubinetto dei favori, capitolarono e le dissero di mandarmi da loro che avrebbero cercato di accontentarmi E così fu: mi diedero le chiavi di questo appartamento.

Io non stavo neanche nella pelle per la gioia. Ero cosi stordito che non chiesi nemmeno quanto dovevo pagare. Dopo qualche tempo nella buca trovo la bolletta dell’affitto da pagare: 10.000 lire c’era scritto..

Io ne pagavo 30 più le spese e qui era 10.000 compreso tutto, un terzo, che gioia! Che festa! Avevamo vinto un terno al lotto

Allora vado dal ragioniere e gli dico: “mi sono arrivate da pagare 10.000 lire al mese, le devo dare a lei?”

“No al mese, ogni tre mesi” disse lui.

Non credevo a quello che sentivo. Che gioia!

Così la vita andava avanti. Avevamo due amici con i quali ogni tanto ci vedevamo: Vasco e Dina, lei e mia moglie ogni tanto facevano piccoli lavori di cucito insieme. Le feste di Natale le passavamo a Milano in famiglia con i miei cognati, mia suocera e la zia di mia moglie, una signorina che è morta a 102 anni, che fino a 100 anni si è mantenuta diritta come un fuso. Per Natale la facevamo venire su dalla Sicilia. Per l’occasione cucinavamo i piatti tipici, le schiacciate: torte di pasta sfoglia ripiena di prosciutto, salsiccia e spinaci, i carciofi al forno cose così.

Anche i rapporti con la mia famiglia erano ripresi, noi eravamo tre fratelli una sorella più grande di due o tre anni ed un fratello di 17 anni più piccolo e pensi che è morto un paio di anni fa, non sono potuto andare neanche al suo funerale perché avevo già avuto l’ictus e non mi fidavo a spostarmi. Si perché tre anni fa ho avuto un ictus,  è da allora che non vivo più da solo. Ho provato ad andare in una casa di riposo ma erano tutti allettati sembravano come morti. Ma torniamo a mio fratello: anche lui aveva provato l’avventura a Milano. Era un pittore ed aveva prima iniziato a lavorare per una ditta che si occupava di decorazioni e poi con l’aiuto economico di mio padre avevamo aperto un  negozio di fotografo, ma  non andò bene e dopo qualche anno lui ritornò in Sicilia a fare il pittore seguendo così la sua passione, ma questa è un’altra storia.

I rapporti con mio padre erano così migliorati, parlo di lui perché mia madre è morta un paio d’anni dopo il mio trasferimento a Milano.  A volte insieme alla seconda moglie, Aurelia, una brava donna, mi ha tenuto i bambini soprattutto Maurizio il più piccolo, durante l’estate.  Maurizio è stato un bambino “conteso” perché dopo la nascita di Rossella la più piccola, lui aveva solo un anno e mia cognata, che non aveva avuto figli, si era offerta di aiutarci tenendolo a casa sua, ma quando mi sono accorto che il legame stava diventando troppo stretto ho voluto che il bambino ritornasse a casa: “ è mio figlio e deve stare con la sua famiglia” non ho sentito ragioni anche se capivo che per mia cognata era un dispiacere.

Appena ho potuto  mi sono comprato la 850 Fiat . D’estate andavamo giù in Sicilia, partivamo alla mattina presto e il giorno dopo, verso le l2, arrivavamo giù al paese. Non facevamo tutta una tirata, sa con i bambini, poi guidavo solo io. Ci fermavamo in un autogrill e ci riposavamo un po’, i bambini stavano tutti dietro  ammucchiati o uno davanti con la mamma. Si divertivano.

Facevamo l’autostrada fino a Salerno e poi la costa fino a Villa San Giovanni. Fino al paese erano 1500 chilometri

Andavamo tutti i giorni al mare a Vaccarizzo, a una ventina di chilometri da Scordia, ci portavamo il mangiare da casa , pasta al forno, parmigiana, frutta fresca.

Stavo bene, era il mio paese natio, la mia terra, rincontravo gli amici, riassaporavo la possibilità di parlare con persone con cui dividevamo ricordi e pensieri, poi il cielo, il mare…

A Milano era diverso, tutti andavano di fretta e non c’era confidenza, ci si salutava appena si appena no. Anche con i vicini non siamo mai andati oltre i saluti formali. Le persone sembravano non avere tempo per fare due chiacchiere però in compenso si guadagnava di più e si metteva qualche soldo da parte. Frequentavamo soprattutto i familiari: le sorelle di Concetta abitavano entrambe a Milano, anche la più piccola ci aveva raggiunto e si era sposata qui.  Il clima, troppo freddo d’inverno e troppo caldo d’estate, non favoriva i rapporti, anche se oggi è tutto cambiato, allora tutti gli anni cadeva la neve, ma quanta neve e la nebbia? La nebbia  era così spessa che non si vedeva da qui a lì. Ora è diverso tanto che mio genero quest’anno ha detto: “ Ma come, è Natale e non si vede neanche un filo di neve?!”

Ora però per me qualcosa è cambiato  ho iniziato a frequentare la Casa della Carità, in via Adriano, dove ho degli amici che mi vogliono molto bene, dopo mangiato ci riuniamo in un salone dove facciamo due chiacchiere, ci raccontiamo le barzellette, scherziamo e ridiamo.

A volte si organizzano delle feste dove balliamo,  amo ballare, lo facevo anche con Concetta mia moglie. Con lei i primi tempi che eravamo a Milano per un capodanno siamo andati qui vicino in un posto che chiamavano il Boschetto.-

Il sign. Rocco mi fa vedere un video di una sua vacanza ad Arco di Trento dove in una casa di cura convenzionata con la ASL si possono passare le vacanze e sottoporsi ad  alcune trattamenti curativi  e la sera anche qui si balla, si gioca a carte, si chiacchera e ci si diverte. – ad Arco di Trento passo anche il Natale, il Capodanno e l’Epifania. I miei figli mi vogliono bene, ma io non voglio essere di peso a nessuno. Mi sono fatto degli amici-

Uno di questi telefona mentre stiamo chiacchierando: è Carmelo è originario di Taranto ma vive in provincia di Milano in un luogo imprecisato.

-Ma lei Rocco conosce bene Milano? Mi sembra di capire che ha abitato sempre in questo quartiere, ha cambiato indirizzo più volte, ma la zona è sempre stata questa- domando – si la conosco, poi non ho finito di raccontarle cosa è successo alla mia azienda. Si ricorda le ho detto che hanno venduto l’impresa alla Fiat, che ne ha comprato solo una parte: la Magneti Marelli mentre la Radio Marelli nel 1975 è stata rilevata dalla  Seimart di Torino.  Venne chiusa la produzioni di radio etc.  e restò aperta fino alla fine degli anni settanta il settore distribuzione. I dipendenti dovettero scegliere tra i licenziamento o il trasferimento a Torino.  Riorganizzare da capo la mia vita non mi interessava, qui avevo la casa, Nuccia la più grande aveva 21 anni, era fidanzata, non ci avrebbe mai seguito e anche Concetta non voleva lasciare la città.

Un collega che abitava qui di fronte mi suggerì di utilizzare i soldi della liquidazione per comprare un camioncino, anzi un camion medio e propormi come padroncino alla Zust Ambrosetti, un’importante ditta di trasporti e consegne. E così iniziai questo nuovo lavoro che mi permise di conoscere tutta Milano. All’inizio sudavo, faticavo a costruire il percorso per le consegne poi mi sono messo d’impegno e ho studiato tutte le vie, le scorciatoie e non ho più avuto problemi. Comunque la zona che mi piace di più è questa dove abito, ho passato qui gran parte della mia vita e a questi luoghi sono legati i miei ricordi.

Il lavoro nuovo mi piaceva guadagnavo bene, ma dovevo pagarmi tutto: contributi, infortuni, assicurazione, tasse, però alla fine mi rimaneva attaccata una buona cifra. Guadagnavo bene.  Anche i miei figli sono poi entrati nell’azienda. Io li ho aiutati con l’anticipo necessario per comprare il camion poi loro si sono pagavati le rate. E così la vita è andata avanti. Maurizio continua a fare il camionista in Sicilia, dove si è trasferito dopo la separazione dalla moglie.

La mia salute non è il massimo, dopo l’ictus di tre anni fa mi ero ripreso ed avevo iniziato una nuova vita  nel quartiere frequentando i centri per anziani. Un quartiere che col passare degli anni è cambiato, i piccoli negozi sono andati via via scomparendo e la tipologia degli abitanti è mutata.

Poco tempo fa  sono stato di nuovo male ho dei problemi respiratori, ma sono seguito da un medico molto bravo amico di mia figlia Nuccia e non rinuncio a frequentare gli amici, a vivere: uso la bomboletta dell’ossigeno portatile per salire e scendere le scale. Basta un po’ di pazienza.

Poi, grazie al cellulare e al tablet, rimango in contatto  con il mondo esterno. Più di una decina di anni fa ho iniziato a interessarmi al computer, ma era troppo complicato per me non riuscivo a capirne il linguaggio, l’ho regalato a mio fratello.  La svolta è arrivata con i cellulari di nuova generazione e il tablet. Pensi che per due anni ho potuto navigare gratis perché c’era qualcuno che aveva una rete senza lucchetto. Ho imparato quasi tutto da solo, ho provato a farmi aiutare da un ragazzo di un  centro di assistenza, ma  non aveva le competenze o la voglia. Anche i miei figli mi hanno aiutato ma soprattutto ho imparato provando e riprovando. Sa cosa mi fa arrabbiare della tecnologia? Che non c’è uno standard che accomuna i vari linguaggi, per esempio c’è chi chiama la rubrica “rubrica” e chi la chiama “contatti”. Certe parole dovrebbero essere generiche valide per tutto il mondo, anche se penso che comunque la tecnologia abbia migliorato il mondo è produca cultura. Come in ogni cosa c’è il bene e il male, dipende sempre dall’uso che se ne fa. Per esempio la bomba atomica può essere utilizzata per  produrre energia, anche se ora abbiamo scoperto che può essere energia pericolosa, ma può anche diventare una terribile arma per uccidere. Ci vuole sempre cautela e buon senso, ma anche la consapevolezza che non è possibile fermare il progresso scientifico.

Pensa che sia assurdo che alla mia età io mi preoccupi di questo? Io penso di no perché per me la vita va vissuta a pieno finché c’è vita, senza mai farsi spaventare dal domani, che io immagino più avanzato tecnologicamente rispetto a oggi, con nuove scoperte che potranno portare l’uomo verso l’immortalità, ma dove le due forze principali che governeranno la terra saranno sempre il bene e il male. E solo l’equilibrio tra questi due elementi potrà portare a un mondo migliore.

Biografa Claudia Martini

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