di Serena Adriana Poerio
Inizia sotto una buona stella, e un aquilone, la storia di Guerino Biscaro, nato a Tripoli il 6 febbraio 1941. Mentre Guerino veniva al mondo, segnando i suoi natali in terra libica, il papà si trovava lontano, era infatti partito per il servizio militare e faceva rientro a casa una volta ogni due o 3 mesi. Erano tutti agricoltori i Biscaro. Si erano mossi dal Veneto nel 1935 insieme ai 20.000 dell’Italia di Mussolini. Erano coloni e avevano ricevuto un podere e i mezzi, trattori, aratri e animali per coltivare la terra. La mamma stava lavorando alla semina, quando le si sono rotte le acque.
Guerino è stato partorito in mezzo i campi: “non mi hanno saputo dire se fossero di cavoli o di broccoli”, racconta. Era una situazione delicata, tra le piantagioni si aggiravano ‘i cani selvaggi’ che quando sentivano l’odore del sangue intervenivano e “non c’era da dialogare con loro”. Il nonno Ambrogio, idolo di Guerino, figura a cui ancora oggi egli deve tanti insegnamenti, passava di là con un aquilone. Ambrogio, veneto dai capelli lunghi sapeva fare un mucchio di cose, tra cui costruire aquiloni, alcuni grandi come appartamenti. Proprio mentre ne faceva volare uno, vedendo la nuora china in un campo di broccoli, o di cavoli, Ambrogio scopriva di essere diventato nonno e riportava verso l’abitazione a bordo di un carretto trainato da un asinello la donna e il suo neonato. “Tutto bene comunque, tutto bene. È stata una cosa abbastanza avventurosa, e fortunosa. Con l’aquilone. Così sono nato io”.
Vissuto fino ai suoi 17 anni tra i caldi colori del deserto, Guerino, mentre a Tripoli cambiamenti epocali tracciavano i nuovi contorni della società, ritornava in Italia a bordo di una nave argentina. “Eravamo tra i pochi ad aver pagato il biglietto”, dice. Sbarcato a Siracusa il 28 marzo 1958 a quell’adolescente che aveva surfato il mare grosso a bordo di una ‘carretta’ sudamericana, sembrava che il molo quasi dondolasse, tanto era il mal di terra dopo la traversata. Altre 24 – 28 ore di viaggio e insieme alla famiglia si era ritrovato a Rho, più precisamente a Lucernate. “Dopo qualche settimana è esondato l’Olona – ricorda -. Mi sono svegliato una mattina e ho visto un unico colore grigio, di fango e nebbia”.
Il primo cappotto della sua vita l’ha comprato alla fine di marzo di quell’anno: “faceva un freddo!”. Nel ’58 anche l’Italia stava vivendo un grande fermento: “Non c’era porta dove bussavi per lavorare che non ti aprissero – racconta Guerino -: Solo per i ‘terroni’ c’erano delle difficoltà, su alcune case del nord c’era scritto ‘Non si affitta ai meridionali’, e non c’era un terrone più terrone di me che venivo dall’Africa”. Un giorno, agli inizi degli anni ’60, mentre era in giro con la vespa nelle valli durante le vacanze, Guerino incontrava la donna che sarebbe diventata sua moglie: “Era una signorina di città, viveva a Milano in via Melzo, mentre io abitavo in un paese”. Nel ’68 i due giovani si erano uniti in matrimonio e avevano preso casa in viale Jenner. “Ero contentissimo di andare in città, per me ragazzo di provincia si trattava di un gran salto di qualità – narra Guerino -: andavamo a prendere il caffè in Galleria, quei bar erano bellissimi”.
Dagli anni ’70 fino al ’96 Guerino, animo curioso e insofferente, faceva il commerciale vendendo prodotti petroliferi in tutta la Lombardia. Nel ’78 un altro cambiamento delineava nuovi confini nella sua vita: si trasferiva in via Della Marna a Bruzzano in zona Niguarda, dove tuttora vive. Anche in quegli anni ritornavano gli insegnamenti ricevuti da bambino. Dal nonno Ambrogio aveva ereditato la manualità e l’arte di saper costruire oggetti, non faceva mai una sola cosa per volta, ma sempre 2, 3 o anche 4 insieme. Realizzava trottole e giochini in legno, poi dopo aver frequentato un corso, aveva cominciato a restaurare quadri e man mano a lavorare per il caseggiato in cui viveva. “Una volta – racconta Guerino – mi è arrivato un Padre Pio della chiesa di Bresso, era davvero grande e ci ho lavorato per lungo tempo, tanto che alla fine ci parlavo con quel Padre Pio!”.
Guerino si dedicava a quegli oggetti con passione e creatività, si rifugiava nel laboratorio e ci trascorreva intere giornate. Non socializzava quasi più con nessuno, intento come era a finire i suoi lavori. Nel 2000 un’altra tappa importante: il volontariato per Anteas. All’inizio egli dedicava a questa attività una mezz’ora al giorno, poi un’ora e poi altro tempo: la sua indole generosa lo portava a dare sempre qualcosa in più. Oggi Guerino è impegnato in associazione circa 8 ore al giorno, tanto che sua moglie, come lui stesso confessa, a volte lo reclama. Con il progetto ‘Nonni Amici’ Guerino e la schiera di volontari di Anteas sono impegnati con i bambini: restano fuori alle scuole per allontanare i malintenzionati, fanno i giri intorno agli edifici per verificare e segnalare la presenza di eventuali siringhe o preservativi abbandonati sui marciapiedi, accompagnano gruppi di piccoli alunni in gita dando supporto agli insegnanti. “Il mondo dei bimbi è favoloso – dice -. È facile stare con loro, non bisogna essere preparati, tanto se vogliono ti mettono in imbarazzo comunque… fanno certe domande!”.
Guerino è nonno di 3 nipoti: Carolina, Edoardo e Francesco, rispettivamente di 12, 9 e 5 anni: “sono un nonno fortunato!”, esclama. Guerino è impegnato a tempo pieno in Anteas e partecipa alle attività di quartiere soprattutto quando si tratta di occasioni istituzionali: “Altrimenti qui ci dormo solo praticamente. La mia vita è fuori, in giro per Milano”. Bruzzano è un quartiere a suo dire vivibile: “si respira bene e ora siamo, almeno apparentemente, tranquilli. Gli abitanti – afferma – sono ancora ‘vecchio stampo”. Interessato e attivo su diversi fronti, Guerino pensa al contributo che ciascuno di noi può dare ogni qualvolta gli si chiede di esprimere un desiderio per il posto in cui vive. “Se la città potesse parlare direbbe rifar crescere di più il volontariato, non solo quello delle grandi associazioni ma il volontariato personale. Ognuno può partecipare a diffonderne la cultura attraverso le sue azioni”.
E alla città, da figurarsi come una persona, Guerino attribuisce un carattere paziente, umile ed educato: “Se non ci fosse la pazienza non si crescerebbe. Ognuno di noi deve rispettare l’altro e così si migliora”. Nonostante questo, sebbene siano ormai passati quasi 60 anni dal suo arrivo in Italia, da quando quel giorno di fine primavera aveva messo piede prima in Sicilia e poi in Lombardia, Guerino non dimentica le sue radici e racconta: “Sono nato in un villaggio, si chiamava Bianchi e si trovava vicino Tripoli. quando nasci in un borgo sei in una dimensione più tua, in una città la dimensione appartiene a molti. Avendo la pelle del villaggio la città me la trovo addosso, ma non sentirò mai veramente mia Milano”.
Il suo sogno forse richiama proprio quegli anni in cui il suo posto nel mondo era in mezzo a una piccola comunità di agricoltori: “Vorrei un quartiere o una città dove tutti si sentano più sicuri a casa loro. Un luogo dove chi ha avuto più fortuna, negli affetti, nel lavoro, nella disponibilità economica, nel tempo e nella salute si metta in gioco per aiutare gli altri. Chi può dare qualcosa, lo deve dare. Si sentirà meglio”.
Anche rispetto a quello su cui a suo avviso potrebbe migliorare la città, Guerino offre una visione positiva e propositiva: “Sogno la riqualificazione del quartiere che dovrebbe aprire le porte agli studenti. Ci sono fuorisede che pagano prezzi altissimi di affitto per una camera. A me questo non piace. Dovremmo renderci tutti più responsabili di quello che accade intorno a noi, invece che rinchiuderci ed essere egoisti. Dovremmo aiutarci tutti. Questa può essere forse non l’unica ma sicuramente una buona strada percorribile”.
La Milano paziente di Guerino è anche quella caratterizzata dall’efficienza dei mezzi pubblici, però “se c’è una cosa invece che non mi piace è la nebbia, ma si sta attenuando”. E se, come si fa quando si è bambini, si potesse giocare e associare alla città un odore? “Purtroppo mi viene in mente quello dello smog, ci sono troppe macchine. Ma se si va al Parco Nord si sente l’odore degli alberi, è una cosa favolosa. Occorrerebbe migliorare su tutto il territorio la cultura del verde, in città ci sono troppi alberi ammalati”.
E immaginando un colore, quale potrebbe essere quello di Milano? Guerino nuovamente ritorna alle sue origini: “Adoro le tinte calde dell’autunno: i rossi i gialli gli arancioni, una miscela favolosa”.
Continuando il gioco in cui si procede per associazioni Guerino pensa a un sapore: “Il grana padano. Non c’è gusto più buono”.
Ancora un po’ di fantasia. Questa volta tanta da spingersi molto più in là nel tempo: che cosa vede dalla sua finestra Guerino oggi e che cosa immagina ci potrebbe essere tra 100 anni. “Davanti casa c’è un bel nido dell’infanzia. Tutto il giorno mia moglie dice di essere in compagnia delle voci dei bambini. Ci sono tanti alberi intorno e poche industrie. Penso che tra 100 anni, visto che il nido non è una fabbrica moderna ma antica, rimarrà ancora e spero che anche la mia casa resti ancora qui”.
Guerino conclude la carrellata di ricordi di anni passati di azioni presenti e progetti futuri, rivolgendo una domanda alla città che l’ha accolto e in cui è diventato uomo padre e nonno: “Milano oggi agli anziani che cosa dà? È l’unico interrogativo un po’ triste che mi pongo altrimenti – precisa – sono un positivo”.