“Morbida fuori, solida e compatta dentro”: non è una nuova barretta di cioccolato, è l’immagine di Maria Pia, la narratrice. Piccola, sarda, asciutta, svelta, garbata. Occhi vivaci, luminosi; le mani si muovono poco. La bocca narra una storia che preme, che ha già ricostruito con se stessa, prima che con me.
Quando sono venuta a Milano
Sai, ho il desiderio di ricordare e raccontare, nel bene e nel male, perché nella vita ci sono i pro e i contro… E io desidero raccontare la mia storia perché sono molto orgogliosa. Nella vita ho dovuto tanto lottare, e quando penso a tutto quello che ho fatto, da sola, con forza, quando penso al traguardo raggiunto, ebbene mi piace, mi fa sentire orgogliosa.
Quando sono venuta a Milano dal mio paese in Sardegna, avevo 17 anni; qui c’era una zia che mi diceva: “vieni, che qui si può stare meglio…” io per la verità stavo bene anche al paese, però ho deciso e sono venuta qui. Dopo un po’ che ero qui ho conosciuto mio marito; io avevo 18 anni, lui 9 di più. Era siciliano, nato in Algeria, ma aveva vissuto a Palermo e poi era venuto presto qui a Milano. Dopo un po’ che ci frequentavamo mi disse che era già sposato, separato, viveva da solo in un pensionato. Eravamo negli anni ’50…che avrei dovuto fare? Eroina o stupida? Mi sono detta: “so che sarà faticoso, ma mi prendo le mie responsabilità, è una mia scelta”. Non ho mai pensato “… se mi avessero detto, se avessi saputo…”, no, io sapevo benissimo a cosa andavo incontro.
Io all’amore non ho voluto rinunciare, e allora ho deciso di andare a convivere, così, senza matrimonio! Ma puoi immaginare che sotterfugi, quante bugie, non potevo dire la verità, a quei tempi c’erano tanti pregiudizi, per quei tempi era una cosa che non si poteva accettare…! So che ho dato un grande dolore a mia madre, che mi sono resa la vita difficile, ma per me lui era l’amore, e non potevo rinunciare. Mio marito è stato l’unico uomo della mia vita: era una persona buona, affettuosa, mi dava il senso di protezione maschile di cui avevo bisogno, perché mio padre era morto quando io ero molto piccola, avevo solo 3 anni. Anche se, in realtà, la protezione non c’era…, ero io che proteggevo lui! Eh sì, è stato proprio così, è nato un senso materno di protezione, ma con quali conseguenze !!
All’inizio io non avevo lavoro; lui lavorava, ma spesso litigava e lasciava il lavoro…così eravamo senza soldi, abbiamo avuto momenti proprio brutti. Eravamo andati ad abitare in una casetta all’idroscalo; per andarci a vivere avevo dovuto vendere tutto quello che avevo, braccialetti, anellini, cose così. Si viveva alla giornata. Poi ho cominciato a lavorare, e lavoravo a tutte le ore: giorno e notte, sabato e domenica, ho fatto di tutto: le pulizie, facevo i bucati a mano, stiravo, imbiancavo… anche d’estate, perché le signore da cui lavoravo mi chiedevano di andare a casa per stirare e preparare il pranzo ai mariti, mentre loro erano via in vacanza.
I figli sono arrivati nel ’63 e nel ’66; non potevo metterli a mio carico, il padre non poteva riconoscerli, perché la legge non lo consentiva. Ho avuto tanti bastoni tra le ruote, la legge non mi ha mai aiutata. Quando c’era solo il maschietto, lo lasciavo da una signora a balia per andare a lavorare, ma poi, quando è arrivata la bambina, non si poteva più, e allora abbiamo cercato una casa a Milano. L’abbiamo trovata in piazza Martini. Siamo andati a comprare i mobili in un posto sul naviglio che vendeva mobili vecchi. Abbiamo preso un letto antico, di quelli alti, che ci voleva la scaletta…! Quello è stato un periodo abbastanza bellino, più tranquillo; vicino casa c’era un negozio di parrucchiere che si dava in affitto. Mio marito era parrucchiere per uomini, così l’abbiamo preso e lui lavorava lì. Certo era difficile, andavano di moda i capelloni, e al negozio andavano solo gli anziani, i pensionati, che chiedevano lo sconto…!
Tutto è stato tanto difficile: non potevo pagare le medicine, il nido, tutte le cose che servono. Mi hanno aiutato le signore dove andavo a lavorare, sono state come una famiglia per me. Le mie signore erano le uniche a sapere che convivevo, senza essere sposata. Con loro c’è sempre stato rispetto, onestà e fiducia. A parte loro, non mi ha aiutato nessuno. Non avevo parenti, i bambini dovevo portarli con me al lavoro perché non potevo pagare il nido. Poi, un po’ cresciuti, il bambino andava all’asilo, e la bambina veniva con me al lavoro; quando sono diventati più grandini, il bambino portava la sorellina all’asilo, e lui andava a scuola. Se la sorellina non stava bene, e lui aveva gli allenamenti di calcio, avvolgeva la sorellina nella coperta e la portava all’oratorio. Ci siamo sempre arrangiati così, senza l’aiuto di nessuno. E quando io non potevo andare a lavorare perché i bambini erano a casa con la febbre, con le solite malattie dei bambini, mi portavo da stirare a casa. Mi dava gioia, nel piccolo, poter accontentare i bambini, dargli tutto quello che potevo, non farli sentire inferiori. Loro un po’ soffrivano perché il padre non li poteva riconoscere, perché non potevano portare il suo cognome, ma per il resto non gli facevo mancare nulla. Andavano vestiti bene, perché le mie signore mi aiutavano. Le mie signore erano sposate con dei tedeschi, stavano bene economicamente, e i miei figli sono cresciuti con i loro figli, eravamo tutta una famiglia. Si facevano anche le vacanze insieme, la sera di Natale andavo a cucinare a casa loro e mi portavo i bambini, era molto bello. I miei figli andavano vestiti molto bene, perché le mie signore mi davano i vestiti dei loro figli, e quando andavo in giro i commercianti mi facevano i complimenti… “ma come è bello quel completino di sua figlia, dove l’ha preso?” e io che dovevo dire? Dicevo “non so, l’ha comprato la nonna, non so dove…”
Poi è arrivata la legge del divorzio, e ci siamo potuti sposare. Così il padre ha potuto dare il suo cognome ai figli, e le mie signore sono state i testimoni di matrimonio. Io per la verità non sentivo neanche il bisogno di sposarmi, io avevo la coscienza a posto, non ho mai tolto niente a nessuno; ma tutti mi dicevano che era meglio sposarsi, anche per la pensione. E in effetti, ora che mio marito è morto, da molti anni, prendo un po’ anche della sua pensione.
Solo il sillabario… ma con la voglia di leggere e di conoscere
Io sono impulsiva, ma rifletto anche: io non ho potuto studiare, da piccola andavo a scuola, al mio paese, ma non avevo i libri. La scuola mi dava solo il sillabario, ma i libri di storia, di geografia, quelli no, e in casa non c’erano i soldi per comprarli. Mia madre mi diceva “fatteli prestare dalle tue amiche…” ma sai le bambine come sono, dicevano che non potevano prestarmeli, che servivano a loro, e così io non riuscivo a studiare. E allora che andavo a fare a scuola solo con un quaderno e una matita…? così ho smesso. Ma la mia passione era leggere e scrivere. Ho sempre letto tanto, e questo mi ha aiutato sempre. Leggevo tutte le cose che potevo e dove potevo, anche in bagno. Ho persino bruciato una lampada, perché mettevo un telo sull’abat-jour per coprire un po’ la luce, e una sera l’ho bruciato. Leggere mi ha aperto la mente, so quanto mi ha aiutato, perché per ogni cosa mi chiedo come e perché, apro una parentesi che mi fa riflettere, mi aiuta a capire perché e come le cose succedono.
E ho anche viaggiato tanto, con mia figlia. Dopo che è morto mio marito ho avuto una malattia alle ovaie, mi hanno tolto tutto. Mia figlia, quando sono tornata a casa, ha organizzato un piccolo viaggio, una vacanza insieme. Siamo andate alle Canarie; ma c’era un vento, mi faceva male la pancia, la ferita dell’operazione… mia figlia era dispiaciuta, diceva “mamma mi spiace, io volevo portarti in un bel posto, dove potessi stare bene…” ma io sono stata bene, stavo sempre in piscina, al sole. Mia figlia mi vuole molto bene, mi tratta come una bambina.
Da allora mia figlia e io siamo andate tanto in giro: Egitto, Senegal, Messico, Scozia. In Scozia siamo andate con la figlia di una delle mie signore e i suoi gemellini, che sono un po’ come i miei nipoti…E da ogni viaggio porto sempre qualcosa, le maschere, le sculture di legno.
Ora sono tutti qui questi ricordi di viaggio, sulle pareti, sui mobili, accanto alle piante che amo tanto. Vedi quella pianta grande nell’angolo? È una euforbia, viene dal negozio di Galbiati. Ora ti racconto la storia di quella pianta: erano passati 6-7 anni dalla morte di mio marito, io e una mia amica al mattino andavamo spesso a fare passeggiate a piedi, fino al cimitero di Lambrate. Passavamo anche da Galbiati, perché amo tanto le piante; c’era questa pianta, bellissima, grande, alta. E io ho detto alla mia amica “ora la poto un pochino” ne ho preso un pezzetto, senza farle male, perché io le piante le adoro, e a potarle non si fa del male. Beh, mi è andata bene, ora è diventata così grande, e ogni tanto ne taglio un pezzetto e ne faccio talee che regalo, anche alle mie signore.
E questo è il mio romanzo…
La mia vita è stata per certi aspetti triste, difficile, non mi ha dato tutto quello che avrei voluto, non si può avere tutto. Nella vita bisogna fare tante rinunce, e io ho rinunciato a tanto, ma all’amore e ai figli no, non ho rinunciato. Io rifarei tutto quello che ho fatto. La conclusione è che sono serena, con la coscienza a posto. Qualche piccolo rimorso, come tutti… c’è sempre qualcosa che avremmo voluto e non abbiamo potuto, ma sono serena, orgogliosa e felice.
La biografa di Maria Pia è Giuliana