di Serena Adriana Poerio
Ci sono numeri che ricorrono spesso nella sua vita e a cui egli ha legato scelte importanti, come quella di andare in pensione lo stesso giorno del suo matrimonio, il 27 settembre 1974, anniversario delle sue nozze d’argento e data che ha segnato la conclusione del suo lavoro di contabile presso il Comune di Milano.
Nato a Milano il 7 agosto 1946 presso la clinica Mangiagalli, Dario Maini ha vissuto la sua vita tra San Siro e Lambrate, due zone di confine della città.
“Sono nato cianotico, ero tutto viola perché mi si era stretto il cordone ombelicale intorno al collo. Pensavano non ce la facessi, invece dopo una decina di giorni sono diventato di un colore normale. Sono del leone (segno zodiacale ndr), ho combattuto da subito. Certo non sono diventato un colosso, ma ‘la qualità del legno’ si è subito mostrata. Potrei dire di essere come il palissandro, che ha un colore scuro, è bello duro e serve per fare i violini”.
Dove abita a Milano?
“Vivo a Casoretto, in via Plezzo 66, subito dopo la ferrovia di Lambrate. Sono ritornato in zona quando mi sono sposato, il 27 settembre 1959. Il viaggio di nozze l’ho fatto tra Napoli, Roma e Firenze. Da piccolo ho vissuto a San Siro con i miei genitori che avevano avuto una casa là, dall’altra parte di Milano: il viaggio di nozze dei miei è stato Lambrate – San Siro. A me San Siro piaceva solo per lo stadio, mi sono sempre sentito di Casoretto”.
Che lavoro ha fatto nella vita?
“Ho lavorato per 33 anni alla ragioneria del Comune di Milano, ero impiegato alla contabilità, negli ultimi anni pagavo gli stipendi dei vigili urbani. A me piaceva, anche se non sono riuscito a diventare ragioniere perché ero una testa matta, sono sempre stato bravo fare i conti”.
Quali sono le sue passioni?
“Innanzitutto mio nipote Martino. Poi mia figlia Daniela. Quando parlo di Martino mi si apre il cuore, come per Daniela. Lei è nata il 3 maggio, mio nipote il 23 aprile, 10 giorni prima di mia figlia. Anche mia moglie è nata il giorno 3. Quando è nato Martino ero in un periodo che definisco di ‘letargo’, mi sono risvegliato e gli ho scritto una poesia in dialetto per cui ho vinto anche un premio e che si intitola ‘L’ultima belè’. Significa ‘L’ultima bellezza’.
Mi piace il calcio, da ragazzo giocavo, ma ero un po’ un birichino, un po’ un ‘baloss’: una volta ero con amici a fare casino, correvo e sono caduto. Mi sono rotto tibia e perone, ho avuto 120 giorni di gesso. Mi diletta la letteratura, pensi che ho preso la licenza di terza media alla sera, con la scuola non andavo d’accordo. Non ero proprio un asino, però ero un lavativo, parliamoci chiaro.
Ho fatto i primi due anni di ragioneria, un anno l’ho trascorso al cinema, un altro l’ho passato a giocare a biliardo. Ecco un’altra mia grande passione: il cinema.
La letteratura la coltivo da solo, ho letto la Divina Commedia per conto mio, ora sto leggendo l’Eneide. Quando lo faccio? Quando non dormo di notte. A volte mi sveglio alle 4, alle 5 del mattino e leggo. Ho questo metabolismo assurdo, circa 6 mesi all’anno mi sveglio alle 5 del mattino e altri 6 mesi invece riesco a dormire… ho chiesto al medico mi ha detto si vede che anziché dalle scimmie forse discendo dagli orsi!”.
Partecipa alle attività del quartiere in cui vive?
“Faccio il volontario in Anteas. E poi sono un nonno a tempo pieno: il nipotino è spesso a casa nostra sia a pranzo che a cena. Mi conoscono nella zona in cui vivo, vado al baretto ogni tanto ma non sono ‘tipo da bar’, non mi piace stare là a fare chiacchiere, prendo il caffè e vado. Sono un tipo atipico, anche mia moglie ha brigato per starmi dietro. Sono un po’ una testa matta io, un giorno ero in ufficio e per una scommessa ho fatto un salto fuori dal balcone. C’era una balaustra e per 10.000 lire sono saltato giù. A 5 metri sotto c’era uno studio fotografico, la fotografia non me l’hanno scattata ma volevano mandarmi al manicomio! Anche adesso faccio cose un po’ fuori dal comune ma molto meno, a un certo punto si matura”.
Le piace narrare o ascoltare storie?
“Molto. L’altro giorno sono andato a sentire un signore che leggeva il Canto V dell’Inferno, è stato bellissimo, mi ha portato in altri lidi”.
C’è un posto per lei significativo della zona in cui vive?
“La chiesa di Casoretto , là si è sposata mia mamma con mio padre, e io con mia moglie. E’un’abbazia del 1300”.
Se la città potesse parlare secondo lei che cosa direbbe?
“Se Lambrate avesse la voce direbbe ‘venite qui che è una bella zona’…”.
Se Milano fosse una persona come se la immagina?
Penserei a una donna vivace e allegra. Più che Milano siamo noi milanesi a essere abbastanza chiusi, ma se poi riusciamo ad affezionarci diamo anche l’anima. Milano ha il cuore grande.
Se volesse associare una natura a Milano, a che cosa penserebbe?
Penserei a una natura animale. Potrebbe essere un elefante che vive a lungo e ha la sua peculiarità con la sua lunga proboscide.
Un odore, un colore e un sapore per lei significativi…
“Il profumo delle rosse, il rosso, i funghi”.
Che cosa vede dalla finestra di casa sua e che cosa pensa ci sarà tra 100 anni?
“C’è la ferrovia. Affaccio sopra i binari, non sono fortunato, però i treni aiutano a viaggiare.
Vedo anche gli aerei ogni tanto, perché siamo vicino a Linate. Tra 100 anni? Probabilmente ci sarà ancora la ferrovia”.
Che cosa chiederebbe a Milano?
“Non farei domande. Per me Milano è tutto, è straMilano, è la mia città”.